La bomba sociale del futuro: 5,7 milioni di giovani a rischio povertà nel 2050 causa precariato
A pochi giorni dalle elezioni politiche, si torna a parlare di pensioni. Il tema delle pensioni, e in particolare quello relativo all'abolizione della riforma Fornero varata dal governo Monti a cavallo tra il 2011 e il 2012, è centrale nell'ultimo rapporto elaborato e diffuso da Censis-Confcooperative, intitolato "Millennials, lavoro povero e pensioni: quale futuro?”. Come già anticipato da vari studi nel corso degli anni, il rapporto del Censis torna a lanciare l'allarme e a descrivere uno scenario futuro tristemente precario e povero per i giovani italiani. In Italia, entro il 2050, secondo Censis ben 5.7 milioni di lavoratori attualmente "giovani" rischiano di finire la propria vita lavorativa in povertà. Le cause che potrebbero portare questo scenario deleterio a concretizzarsi sono molteplici: il ritardo nell’ingresso nel mondo del lavoro, la discontinuità contributiva, la debole dinamica retributiva che caratterizza molte attività lavorative rappresentano di fatto le condizioni che determineranno non solo l'erogazione di bassissime pensioni ai giovani lavoratori di oggi – impossibilitati causa bassi stipendi a provvedere a un'integrazione previdenziale privata – ma metteranno anche a dura prova la tenuta sociale del Paese. Come spesso rilevato da passati rapporti elaborati sia dal Censis che dall'Inps che dall'Ocse, in particolare negli ultimi 30 anni si è assistito a un progressivo allentamento del cosiddetto "patto intergenerazionale" e nei fatti si arriverà ad assistere in futuro a una ancor più marcata guerra tra generazioni.
Analizzando lo scenario odierno, il confronto è già piuttosto impietoso e come rileva Censis "fra la pensione di un padre e quella prevedibile del proprio figlio segnala una decisa divaricazione del 14,6%. Il sistema previdenziale obbligatorio attuale garantisce a un ex dipendente con carriera continuativa, 38 anni di contributi versati e uscita dal lavoro nel 2010 a 65 anni, una pensione pari all’84,3% dell’ultima retribuzione. A un giovane che ha iniziato a lavorare nel 2012 a 29 anni, per il quale si prefigura una carriera continuativa come dipendente, 38 anni di contribuzione e uscita dal lavoro nel 2050 a 67 anni, il rapporto fra pensione futura e ultima retribuzione si dovrebbe fermare al 69,7%, quasi quindici punti percentuali in meno".
In proiezione, però, sebbene lo scenario attuale sia già piuttosto allarmante, nel 2050 rischia di esplodere una vera e propria bomba sociale con 5,7 milioni di persone, gli attuali giovani, in povertà: tra questi vengono conteggiati i 3 milioni di attuali "neet" tra i 18 e i 35 anni che hanno ormai rinunciato a cercare lavoro per mancanza di opportunità, cui andranno a sommarsi i 2,7 milioni di lavoratori confinati in attività non qualificate caratterizzate da una bassa intensità lavorativa e da basso reddito, i cosiddetti "lavoratori in gabbia" che difficilmente riusciranno a liberarsi da questa condizione di precariato. La continuità lavorativa per gli attuali giovani è quasi una chimera, ma a questa tendenza va ad aggiungersi anche un problema di difficile risoluzione, ovvero quello che attiene le bassissime remunerazioni erogate in cambio delle prestazioni professionali, due condizioni che metteranno in pericolo la sostenibilità del Welfare sul lungo termine.
"Queste condizioni hanno attivato una bomba sociale che va disinnescata. Lavoro e povertà sono due emergenze sulle quali chiediamo al futuro governo di impegnarsi con determinazione per un patto intergenerazionale che garantisca ai figli le stesse opportunità dei padri. Non sono temi di questa o di quella parte politica, ma riguardano il bene comune del Paese. Sul fronte della povertà il Rei con un primo stanziamento di 2,1 miliardi che arriverà a 2,7 miliardi nel 2020 fornirà delle prime risposte, ma dobbiamo recuperare 3 milioni di Neet e offrire condizioni di lavoro dignitoso ai 2,7 milioni di lavoratori poveri. Rischiamo di perdere un’intera generazione", ha dichiarato il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini.
Sebbene la situazione sia allarmante tendenzialmente per tutti i giovani italiani, le rilevazioni fanno però emergere la presenza di un persistente divario anche tra Nord e Sud: guardando al fenomeno degli inattivi nella fascia demografica 25-34 anni, i giovani che non studiano e non lavorano al Sud sono oltre il 50%, pari a 1,1 milioni di unità, di cui 700.000 concentrati nelle sole Sicilia e Campania.