Del senno di poi son piene le fosse, si dice ed è vero, particolarmente in quelle discipline note come “scienze umane” in cui non si tratta di scoprire e testare leggi valide in modo incontrovertibile in tutto l’universo, ma di provare a capire quali reazioni possono generare alcune situazioni nell’animo umano sia individuale sia collettivo. Vi ho fatto questa premessa per dire che finalmente possiamo conclamare esplosa una “bolla speculativa” (se il termine ha ancora un qualche senso) che si era andata formata per anni sui metalli preziosi, che in questo inizio settimana continuano a perdere terreno, con l’oro che stamane a Londra oscilla sui 1352,20-1353,20 dollari l’oncia, mentre l’argento è indicato a 21,48-21,58 dollari, in calo rispettivamente di 8 dollari l’oncia e di 78 centesimi rispetto all’ultimo fixing di venerdì scorso.
Fatti due calcoli, in euro ciò dovrebbe equivalere a circa 33,8 euro al grammo (l’oncia vale poco più di 31,10 grammi, l’euro vale stamane attorno a 1,287 dollari), ovvero per chi ancora se le ricorda a circa 65.400-65.500 lire al grammo. Evitando di farvi la storia dell’oro e dei suoi rapporti con l’umanità (vi sono libri molto interessanti al riguardo, ad esempio “Oro”, di Peter Bernstein (pubblicato nel 2002 da Longanesi è facilmente reperibile sul web insieme ad altri libri dello stesso autore dedicati all’ossessione “aurifera” nel corso della storia umana), però vi segnalo che “quand’ero giovane” (sigh), ossia 20 anni or sono, l’oro costava attorno alle 20-21 mila lire al grammo. Un asset che più che triplica il suo valore in 20 anni è certamente un investimento interessante, ma l’oro ha lungamente deluso i suoi piccoli e grandi fan restando tra i 250 e i 450 dollari per almeno un decennio, tra il 1995 e il 2005.
Solo negli ultimi otto anni, dalla fine del 2005 all’estate dello scorso anno, ha iniziato a volare, letteralmente, sospinto prima da una serie di motivazioni tecniche (la crescente diffusione di strumenti finanziari quali gli Etf e gli Etc sui metalli preziosi, che hanno moltiplicato esponenzialmente la domanda di “sottostante”, prima molto più limitata se non per uso industriale e in gioielleria) poi da una serie di tensioni e crisi (dal crack di Lehman Brothers nell’autunno del 2008 all’espolodere della crisi del debito sovrano europeo nel 2009-2010). Da qualche mese, nonostante i piccoli e grandi fan del metallo biondo (e dell’argento, piuttosto che del platino o del palladio) continuino a segnalare come sarebbe il caso di approfittare del calo dei prezzi e imitare le banche centrali che, a lungo venditrici, sono tornate ad effettuare acquisti, le quotazioni continuano a calare.
Oltre alla finalmente conclamata esplosione della bolla speculativa, cosa indica questo calo, che dai 1877,50 dollari l’oncia toccati il 22 agosto 2011 (qual giorno l’argento toccò a sua volta un record storico di 43,49 dollari l’oncia) ha visto le quotazioni calare, sino ai livelli correnti, del 28% circa per il metallo biondo e del 50% abbondante per l’argento (a riprova che questo secondo metallo è visto meno come un “bene rifugio” e maggiormente come un investimento speculativo)? Indica che gli investitori dopo aver tanto temuto e atteso un’impennata dei prezzi che fosse generata dall’oceano di liquidità pompata sui mercati dalle banche centrali si sono arresi ed ora non credono che la liquidità da sola basterà a far riprendere l’economia mondiale (e in particolare quella europea e statunitense) se prima non verranno messe in atto riforme strutturali atte a garantire una maggiore flessibilità dei fattori produttivi e una maggiore competitività delle imprese.
In sostanza gli investitori al giorno d’oggi pensano che per anni avranno di fronte non una ripresa della crescita ma uno “scenario alla giapponese” dove nonostante i continui tagli dei tassi (ormai negativi in termini reali) e l’acquisto in modo sempre più massiccio di titoli di stato da parte della banca centrale giapponese, la deflazione è ancora intatta e tale da “congelare” la ripresa del Sol Levante che ora prova anche a lasciar svalutare in modo sensibile lo yen per provare a stimolare una ripresa delle esportazioni che faccia da volano a tutta l’economia. Una ricetta che sempre meno convince i mercati (pur contenti per la pioggia di liquidità che questa decisione comporta) e forse sta iniziando a non convincere neppure più le autorità europee (ed in futuro statunitensi), che stanno ripensando la propria strategia.
Nel vecchio continente questo potrebbe voler dire una minore repressione fiscale in cambio di riforme (non certo l’abolizione dell’Imu) che consentano di far ripartire (si spera) l’economia, negli Usa (dove il fisco è già ai minimi storici) un incremento del peso del fisco assieme a un riequilibrio della distribuzione del peso stesso sulle diverse classi sociali e tipologia di attività (consumi, investimenti e risparmi). A suo modo, dunque, l’oro continua a brillare e a fare da faro all’uomo, indicando una possibile rotta, non necessariamente quella che i suoi piccoli e grandi fan vorrebbero ma forse migliore di quella finora seguita dai policy maker occidentali. Se non altro è possibile che a Natale siate in grado di regalare quell’anellino d’oro che vostra moglie o compagna o fidanzata aveva già adocchiato da qualche mese ma che non vi sentivate di acquistare perché costava troppo e di questi tempi…