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Opinioni

Rischio deflazione: la Bce è pronta a varare nuovi stimoli

I vertici della Bce ripetono in coro: siamo pronti a varare nuovi incentivi se saranno necessari a far ripartire l’inflazione. Ma dati e previsioni continuano a non mostrare miglioramenti significativi e questo rischia di pesare sulla debole ripresina europea…
A cura di Luca Spoldi
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Mario-Draghi

La Bce è pronta a varare ulteriori stimoli monetari, pur di vincere la battaglia contro la deflazione. Lo ripetono da giorni i suoi esponenti di punta, dal capo economista Peter Praet, che ieri ha parlato a una conferenza a Francoforte, al vice presidente Vitor Costancio, ascoltato oggi dal Parlamento europeo, fino al presidente Mario Draghi, che nella introduzione al rapporto 2015 della Banca centrale europea presentato dallo stesso Costancio al Parlamento Ue ha sottolineato come “il 2016 non sarà meno impegnativo dell’anno appena passato per la Bce”, che però non intende arrendersi ad una crescita eccessivamente bassa dei prezzi.

Se si materializzassero altri shock contrari, le nostre misure potrebbero essere ancora una volta ricalibrate” ha spiegato Praet, aggiungendo, forse per rassicurare i suoi interlocutori tedeschi, storicamente molto sensibili al tema della crescita dei prezzi, che ovviamente Eurotower agirà in modo “commisurato alla forza delle spinte contrarie e prendendo anche in considerazione i possibili effetti collaterali”. Secondo Praet escludendo gli effetti del quantitative-easing di marzo, le misure già messe in campo dalla Bce “hanno offerto un significativo aiuto alla produzione e all’inflazione”.

In effetti a marzo l’inflazione, pur risalendo marginalmente, è apparsa ancora negativa: secondo Eurostat i prezzi in Eurolandia sono calati su base annua dello 0,1% rispetto al -0,2% segnato a febbraio, mentre l’inflazione “core”, depurata degli elementi più volatili come beni alimentari e petroliferi, ha mostrato una crescita dell’1% annuo, contro lo 0,8% del mese precedente, ma è rimasta molto distante dal 2% attorno al quale la Bce vorrebbe che si stabilizzasse a medio termine. In Italia, come ha segnalato Istat, sempre in marzo l’inflazione su base annua è calata dello 0,2%, a fronte di un’inflazione di fondo (al netto di alimentari e generi energetici) pari a +0,6% dal precedente +0,5%, con un’inflazione acquisita per il 2016 passata così dal -0,6% di febbraio a -0,4%.

Ancora più deciso Mario Draghi, che nella relazione annuale ha spiegato come la Bce continui a confrontarsi “con forze disinflazionistiche” e allo stesso tempo si interroghi “sulla direzione dell’Europa e la sua resistenza a nuove crisi. In quel scenario, il nostro impegno al nostro mandato continuerà ad essere una ancora per la fiducia delle persone nell’Europa”. Nonostante la volontà di Draghi e dei suoi uomini di apparire pronti a ulteriori misure, gli investitori restano incerti.

Da un lato, infatti, dopo oltre 1.700 miliardi di euro di bond acquistati sui mercati attraverso il programma di quantitative easing l’inflazione “core” resta comunque distante dal 2% come ormai accade da tre anni e secondo le stesse previsioni della Bce non ci si avvicinerà prima della fine del 2018. Dall’altro dopo aver già esteso la tipologia di titoli e implicitamente la durata del programma di quantitative easing, nonché il ritmo degli acquisti mensili di bond e con tassi già negativi da quelli sui depositi a quelli che la Bce “applicherà” alle ulteriori iniezioni di liquidità a lungo termine preannunciate per i prossimi mesi (condizionate all’incremento dei prestiti ad imprese e famiglie da parte delle banche che vorranno ottenerla), è difficile immaginare cosa possa ancora inventarsi Draghi per sbloccare la situazione.

Perché la deflazione resta al centro delle preoccupazioni della Bce e perché la stessa Bce fa di tutto per scansare le accuse di non aver agito con sufficiente fermezza, o meglio di mostrare due volti, uno benevolo quando parla di distribuire denaro a pioggia e uno arcigno quando chiede alle banche di rafforzarsi patrimonialmente, finendo così col far ritirare ciò che essa stessa concede, ossia nuovi capitali per l’economia reale? Perché la deflazione, ossia tassi di crescita negativi dei prezzi, complica e non poco la vita ai debitori, in primis lo stato italiano, che da anni si trovano impiccati ad un rapporto debito/Pil che cresce in termini nominali (ossia tenuto conto dell’inflazione/deflazione) ben più di quanto non cresca l’economia.

Nonostante il calo dei tassi, infatti, l’Italia paga su oltre 2.100 miliardi di euro di debito pubblico (che si continua a far aumentare con provvedimenti come il bonus Irpef e rinunciando a tagliare in modo razionale e qualificante la spesa pubblica) lo 0,85% circa a margine, ma ben di più, oltre il 3%, in termini medi. Il Pil, invece, cresce in termini reali attorno all’1%, il che significa che in termini nominali viaggia attualmente ad un ritmo attorno allo 0,8%, con maggiori rischi di un ulteriore rallentamento nei prossimi mesi che non di una improvvisa accelerazione.

La Bce non può, a differenza della Federal Reserve, agire direttamente sulla crescita, ad esempio stimolando la piena occupazione, ma può e deve stimolare i prezzi, favorendo nel frattempo il rafforzamento del sistema creditizio e il suo rinnovamento, premessa per far accettare a tutti i partner europei la mutualizzazione del debito, ulteriore tassello per arrivare a quell’unione politica oltre che economica la cui assenza è la causa dell’incapacità europea di risolvere le crisi di questi anni.

Con un sistema creditizio vecchio, imprese e famiglie sfiduciate e una crescita disomogenea e che resta esposta ad improvvisi rallentamenti sia per debolezze strutturali interne sia per l’incerta evoluzione dello scenario internazionale, di ripresa non se ne vedrebbe né poca né tanta, con tutte le dolorose conseguenze del caso. La Bce prova dunque a dare benzina al motore, ingolfato, dell’economia europea e italiana.

Perché la macchina si metta in moto dovrebbero tuttavia cooperare altre forze, politiche e sociali, di tutti i principali paesi europei, ciascuna favorendo l’ammodernamento delle strutture produttive e distributive del reddito. Ma al riguardo Draghi e i suoi uomini non possono fare altro che sperare, blandendo ora la carota della liquidità “sussidiata” per far ripartire prezzi e attività economica, ora il bastone della vigilanza bancaria, per convincere chi si è adagiato su comode rendite di posizione che quell’epoca è finita. Speriamo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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