Passata la sorpresa, positiva, delle misure annunciate giovedì da Mario Draghi, presidente della Bce, per migliorare la trasmissione degli impulsi di politica monetaria all’economia reale, analisti e gestori hanno iniziato a commentarne la portata e la possibile efficacia e limiti. Opinione concorde è che Draghi sia riuscito a fare più di quanto mediamente ci si aspettasse (anche se gli economisti di Societe Generale restano delusi dal mancato annuncio di un avvio ufficiale del programma di acquisto di Abs, ossia cartolarizzazioni di crediti), ma quasi tutti segnalano che gli importi finora annunciati rischiano di rivelarsi insufficienti per avere un impatto concreto quanto meno su due elementi.
Anzitutto sull’inflazione, troppo bassa in tutta Europa e in particolare in paesi come l’Italia che debbono pagare tassi reali sul proprio debito superiori al tasso di crescita della propria economia, rischiando di avvicinarsi sempre più al punto di non ritorno che imporrà un default più o meno pilotato del debito stesso, e poi sul tasso di cambio dell’euro, ritenuto da tutti sopravvalutato e tale da “remare contro” l’export europeo, finora unica flebile valvola di sfogo per sostenere una ripresa zoppa della domanda interna, penalizzata dalle misure di austerity fortemente volute dalla Germania e che si sarebbero dovute attuare anni fa, in una fase di espansione economica e non di recessione. Insomma: l’atteggiamento degli investitori professionisti resta di estrema prudenza in attesa di valutare la portata concreta della manovra della Bce.
Ma nel concreto cosa cambierà da lunedì per famiglie e imprese? Per queste ultime, come ho già provato a spiegare, dovrebbe allentarsi la “stretta sul credito” che anche in questi ultimi mesi era proseguita, senza troppo clamore ma inesorabilmente come ormai da quasi quattro anni. Si prendano gli ultimi dati di Banca d’Italia: mentre lo scorso mese di maggio i tassi su Bot e Btp sono calati (a beneficio dello stato ma a detrimento degli investitori, per i due terzi italiani, siano essi banche, fondi pensione, fondi comuni o singoli risparmiatori) rispettivamente sullo 0,57% medio (dallo 0,59% medio di aprile) e sul 2,80% medio (dal 2,87% ), a fine aprile (i dati sono ritardati di un mese in questo caso) il tasso medio che imprese e famiglie ricevono sui propri depositi bancari è calato ulteriormente allo 0,89% (dallo 0,94% di marzo), mentre i tassi sui finanziamenti erogati a famiglie e imprese sono saliti, rispettivamente, al 4,04% (dal 4,03%) e al 3,79% (dal 3,77%).
Se pensate che una delle criticità sottolineate già giovedì dalla stampa internazionale nel corso della conferenza stampa di Draghi è stata la possibilità che i risparmiatori tedeschi (che ottengono tassi ancora più bassi sui propri depositi come pure sui propri titoli di stato) si sentano “defraudati” da una manovra che, come ha spiegato lo stesso Draghi, mira a mantenere i tassi “a questi livelli o più bassi più a lungo di quanto finora previsto”, ossia virtualmente almeno fino al settembre 2018 (quando dovrà essere rimborsata la liquidità erogata alle banche con le nuove aste “condizionate” all’erogazione di prestiti all’economia reale) capite come da questo punto di vista il “pacchetto crescita” della Bce non potrà che indurre le famiglie vuoi a investire il proprio risparmio in bond a più elevato rendimento (e rischio) come quelli emessi da aziende o da emittenti dei paesi emergenti, vuoi a spostare una parte sempre più consistente del proprio risparmio in strumenti collegati direttamente o indirettamente ad investimenti azionari.
Uno scenario, quest’ultimo, che era chiaro anche prima che Draghi annunciasse le nuove “misure straordinarie” (che potrebbero non essere le ultime, come lo stesso presidente della Bce ha subito sottolineato per lasciarsi aperta qualche porta se le cose non andassero nel verso sperato nelle prossime settimane e mesi), tanto che in un evento organizzato martedì scorso da Rosario Di Somma, District Manager di Banca Generali, presso il ristorante Villa D’Angelo a Napoli, a cui hanno preso parte tra gli altri gli esperti di case d’investimento come Oddo, Pictet, Vontobel e Aberdeen, proprio questo si è ripetuto più volte: stante lo scenario di moderata crescita e tassi bassi che pare destinato a durare più a lungo del previsto, occorre dimenticarsi o quasi di obbligazioni bancarie e titoli di stato (in particolare dei Bot e dei Ctz) e investire in modo sempre più diversificato per cogliere le opportunità di crescita che esistono attualmente soprattutto negli Stati Uniti e nei paesi emergenti.
E per chi non deve investire dei risparmi ma ottenere dei prestiti, cosa cambia? In realtà nell’immediato nulla o quasi, anche perché fino all’11 giugno non inizieranno ad essere operative le nuove condizioni sui tassi d’interesse per le banche, mentre solo dal 18 giugno la Bce smetterà di ritirare le liquidità creata acquistando a suo tempo 165 miliardi di Btp e Bonos col Security Market Programme (Smp), una mossa, per inciso, che piace molto agli esperti di State Street dato che “darà un notevole impulso all’ammontare di liquidità presente nel sistema, una mossa che va nella direzione di un quantitative easing”, anche se “l’esperienza di altri paesi suggerisce che, a meno che la banca centrale sia pronta a realizzarlo su una vasta scala, l’impatto sull’inflazione rimarrà modesto”. Questione di giorni, comunque, poi si potrà iniziare a capire se qualcosa cambierà davvero, ad esempio con una nuova riduzione della “forbice” tra tassi attivi e passivi o, più gradualmente dopo la conclusione dell’Asset quality review (Aqr) che la stessa Bce sta conducendo sulle principali banche europee (tra cui 15 istituti italiani), si potrà vedere una ripresa dell’erogazione del credito a famiglie e imprese.
Ripresa del credito che comunque non sarà né massiccia né estesa a tutta la gamma dei prestiti bancari: la nuova liquidità non riguarderà, ad esempio, l’offerta di mutui (dove comunque i tassi sono già molto bassi e ulteriori riduzioni rischiano di essere vanificate dall’incremento degli spread o dalla riduzione delle percentuali erogate in relazione al valore degli immobili), per evitare di tornare a gonfiare prezzi degli immobili e dare vita a bolle che già negli ultimi anni hanno portato ad una situazione di quasi dissesto i sistemi bancari irlandese e spagnolo, tanto più che mentre in Italia i prezzi degli immobili sono visti in ulteriore calo ancora per quest’anno e forse il prossimo, a Londra come a Berlino, ma persino in alcune località francesi o spagnole, si notano già aumenti più o meno consistenti sia dei prezzi di vendita sia degli affitti tanto nel caso delle abitazioni quanto degli immobili commerciali e degli uffici.
Morale della favola: se tutto va bene avremo banche un poco più solide grazie agli aumenti di capitale varati sotto la spinta della Bce e delle singole banche centrali, un riequilibrio dei rapporti prestiti/depositi (in Italia ancora squilibrati, purtroppo), minori richieste di rimborso dei prestiti già contratti da aziende e famiglie, un’accelerazione della ristrutturazione dei crediti “problematici” in essere e, se arriverà qualcosa anche a imprese e famiglie per far ripartire investimenti e consumi, un sostegno alla ripresa. Sarà poi la ripresa a dover fare la differenza e tanto più la farà quanto più forte e duratura si dimostrerà, rendendo meno problematico, allo stesso tempo, sia sostenere il peso del debito pubblico, sia varare riforme che migliorino la produttività dei singoli sistemi-paese, sia infine riassorbire la disoccupazione.
Purtroppo per l’Italia il ritardo accumulato da anni su tutti questi fronti, per colpa di un “capitalismo di relazione” ormai ampiamente disfunzionale quando non criminoso (come dimostrano i tanti casi di malaffare emersi nelle ultime settimane) oltre che per l’assenza di un’attività di riforma degna di tale nome da oltre 20 anni, ci condanna quasi certamente a crescere meno di altri ed in ritardo rispetto ad altri. Si diceva una volta: “fattela con chi è meglio di te e paga le spese”, purtroppo dato che non abbiamo saputo imparare da chi presumiamo essere meglio di noi (anche se non è detto che lo sia), dovremo stare attenti a non pagare solo le spese, perché le misure della Bce non ci offriranno alcun riparo sotto questo profilo ed anzi rischiano di favorire maggiormente paesi come Spagna, Francia e Germania (dove la domanda interna sta tenendo o dando segni di ripresa e dove le sofferenze bancarie e in generale i crediti problematici stanno già calando) più che l’Italia. Essere un paese la cui classe dirigente da decenni guarda al passato e non sa progettare il futuro, comporta anche questo.