Entrare a lavorare come commessa in un supermercato appena maggiorenne e ricevere, dopo quarantotto anni di carriera, 75 milioni di euro in eredità dal proprio datore di lavoro. Quello che potrebbe benissimo essere il sogno di molti è divenuto realtà per Germana Chiodi, storica segretaria di Bernardo Caprotti, fondatore e proprietario di Esselunga morto lo scorso 30 settembre all’età di 90 anni. Caprotti, che in vita non ha mai pensato di ricorrere a meccanismi quali le stock option per premiare e fidelizzare i propri collaboratori, ha infatti disposto che metà del proprio patrimonio personale liquido (150 milioni di euro su conti presso Deutsche Bank secondo la stampa italiana) andasse ai 5 nipoti, che hanno così ricevuto 15 milioni di euro a testa.
Gli altri 75 milioni sono stati lasciati appunto alla 66enne fidata collaboratrice, che negli ultimi tempi aveva assunto la responsabilità della segreteria di direzione di Esselunga fungendo da assistente per la seconda moglie di Caprotti, Giuliana, e la loro figlia Marina. Quanto al “grosso” dell’eredità, ossia la proprietà di Esselunga, che gli analisti valutano attorno ai 7 miliardi di euro, “il dottore” aveva già voluto evitare “ulteriori contrasti e pretese”, dopo che “il disegno di ripartizione e continuità familiare” era già naufragato “la sera del 30 luglio 2010”.
Cosa era successo? Che dopo l’estromissione, nel 2004, del figlio Giuseppe (passato dalla carica di direttore acquisti, nel 1993, a quella di amministratore delegato, nel 2002), reo di aver tentato di adottare uno stile manageriale troppo distante dal capitalismo padronale che Bernardo Caprotti incarna, anche la figlia Violetta (già responsabile delle campagne pubblicitarie e dell’ideazione della “fidelity card”), che pure aveva rotto col fratello sei anni prima, a seguito del licenziamento di Paolo De Gennis, vice presidente di Esselunga e manager storico del gruppo, decide di schierarsi contro il padre.
Bernardo non perdona e nel febbraio 2011 cambia l’intestazione della piccola quota azionarie (8,6%) loro destinata fin dal 1996 attraverso l’utilizzo di una fiduciaria a cui erano stati girati i titoli, in parte integralmente in parte solo come nuda proprietà. Qualcosa di simile (litigi, spartizioni e passaggi di pacchetti azionari) era accaduto trent’anni prima tra Bernardo e i suoi fratelli, Guido e Claudio.
Quella delle faide familiari è una “maledizione” non infrequente nella storia del capitalismo familiare italiano che ha portato Bernardo a destinare per volontà testamentaria “le partecipazioni nelle due aziende che ho creato e che mi appartengono, in modo tale da dare tranquillità e continuità alle imprese, salvaguardando però i diritti di tutti i miei aventi causa, secondo la legge”.
Come? Nominando Giuliana e Marina eredi universali in parti uguali tra loro e lasciando loro il 70% di Supermarkets Italiani (holding che controlla il gruppo Esselunga) e il 55% di Villata (immobiliare cui fanno capo uffici, magazzini e supermercati), mentre a Giuseppe e Violetta restano, sempre in parti uguali, il restante 30% di Esselunga e il 45% di Villata.
Non che Giuseppe e Violetta debbano temere per il loro futuro, avendo il padre provveduto anche a lasciare loro appartamenti, ville, casali e castelli sparsi per l’Italia (ma anche 8 milioni di euro di “argent de poche” a Violetta per comprarsi la casa di Egerton Terrace in cui vive a Londra), ma certo il sogno di mettere le mani su Esselunga è svanito.
Al re di Francia Luigi XV, bisnipote di Luigi XIV (il “re sole”), viene attribuita dalla tradizione l’espressione “dopo di me, il diluvio”: Bernardo Caprotti preferisce essere meno drammatico, augurandosi nel proprio testamento che possa essere il gruppo olandese Ahold a rilevare la sua catena di supermercati e raccomandandosi alle eredi affinché comunque non la cedano alle odiate Coop “rosse” o a gruppi spagnoli.
Tutto assolutamente legittimo e forse la soluzione meno traumatica visti i precedenti; resta tuttavia la sensazione che simili espressioni di un capitalismo familiare nato a cavallo tra Ottocento e Novecento non siano più in sintonia coi tempi e che se si vuole dare un futuro all’economia italiana sarà il caso di abbracciare senza riserve un modello che sappia distinguere più nettamente i ruoli della proprietà da quelli del management e impari a utilizzare meglio le stock option per premiare i migliori collaboratori “in vita” anziché i lasciti testamentari “post mortem”.