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Opinioni

L’Italia torna a piacere agli investitori?

Prosegue il rally degli asset a rischio sui mercati finanziari mondiali e l’Italia ne trae beneficio. Se il peggio della crisi è alle spalle o no è materia di discussione, intanto però chi ha le carte in regola ne approfitta e investe…
A cura di Luca Spoldi
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Bauli pandoro

Piazza Affari prolunga il rally e sale di un altro 1% abbondante, chiudendo poco distante dai massimi giornalieri nonostante un passaggio a vuoto nel pomeriggio legato all’avvio incerto di Wall Street (che a giorni alterni vede l’accordo anti fiscal cliff come fatto o ancora lontano), ma che più in generale sia ripartito un rally degli asset a rischio, che abbraccia anche la Spagna (e la Grecia, dopo l’upgrade del rating sovrano deciso ieri sera da Standard & Poor’s, da “CCC”, ossia “default selettivo” a “B-”, solo “junk”, cartaccia, ma pur sempre il miglior livello assegnato dal luglio del 2011, per di più con outlook stabile) e riguarda non solo i mercati azionari ma anche e soprattutto quelli obbligazionari è evidente ed è un segnale positivo, sia pur da prendere con le molle. Per intanto il Btp decennale guida vede il rendimento calare sul 4,394%, circa 5,5 punti base meno di ieri, mentre lo spread contro Bund tedesco si riduce al 2,96%, vale a dire appena sotto il minimo toccato a inizio mese (il 2,97%), prima dell’apertura della crisi di governo (e dei successivi parziali pentimenti al riguardo) da parte del proprietario del Pdl, Silvio Berlusconi, ormai pienamente in campagna elettorale con l’obiettivo di sopravvivere e se stesso e al fallimento della sua non-politica ventennale.

Il calo del costo del debito pubblico fa bene allo stato italiano, ossia ai suoi contribuenti (evitando che sorga la necessità di ulteriori manovre “correttive”, ora che il bilancio sembra essere stato sanato “strutturalmente” dalle riforme avviate dal governo Monti), lascia sperare che il rapporto debito/Pil possa stabilizzarsi (ne parlavo ieri) e fa tirare un ulteriore sospiro di sollievo alle banche, le cui casse sono piene di titoli di stato italiani ed i cui titoli non a caso sono da diverse settimane tra quelli più sensibili ad ogni rialzo delle quotazioni legato a un recupero della fiducia dei mercati circa l’investimento in Btp e altri asset italiani. Se la fase di ottimismo dei mercati, che sembrano apprezzare i segnali di un ritorno di “appetibilità” dell’euro  e dell’Eurozona (è di oggi la notizia che la Lettonia ha fatto richiesta di aderire alla moneta unica dal prossimo anno), durerà, forse (sottolineo: forse) il peggio della crisi, intesa come fase più acuta di perdita di posti di lavoro e produzione e pertanto di distruzione di Prodotto interno lordo, sarà alle spalle.

Che questo porti o meno a vedere in tempi rapidi una ripresa del Pil per più di qualche decimo di punto è ancora materia di discussione tra molti miei più esimi colleghi analisti ma sotto Natale almeno sperare non costa nulla, specie se si evita di eccedere in fiducia senza avere qualche riscontro oggettivo. Una cosa va comunque detta: nonostante la crisi chi ha le carte in regola continua a fare bene, vuoi sfruttando la valvola di sfogo dell’export (anche se da questo punto di vista gli ultimi dati hanno confermato un graduale rallentamento della crescita anche negli Usa e in Asia, a partire dalla Cina, cosa che pone qualche dubbio sulla sostenibilità delle esportazioni, come conferma il fatto che il saldo di bilancia commerciale da tempo stia migliorando più per un calo dell’inport, che significa sia petrolio meno caro sia anche meno acquisti di materie prime da parte delle industrie italiane), vuoi attraverso la ripresa di un processo di concentrazione in tutti i settori. Processo che finisce con l’eliminare gli attori più deboli, sfortunati o meno avveduti e premiare quelli più solidi, al netto delle distorsioni del “capitalismo familiare italiano” di cui più volte ho raccontato.

Volete un esempio? In questi giorni il gruppo veronese Bauli, che coi suoi primi quattro marchi (oltre a Bauli il gruppo ha da tempo acquisito Motta, Alemagna e Balocco) detiene il 42% del mercato del panettone in Italia, sta trattando in esclusiva l’acquisizione della casalese Bistefani, che a fronte di un fatturato di 75 milioni di euro (contro gli oltre 400 del potenziale acquirente) è esposta verso le banche per 45 milioni considerando anche i debiti della parte alta della catena di controllo. Una storia sfortunata o forse solo l’ennesimo esempio di una certa fragilità manageriale di una media impresa italiana, peraltro cresciuta considerevolmente negli anni “buoni”. Il problema pare anzi essere stato proprio questo, per Bistefani, aver voluto fare il classico “passo più lungo della gamba”, non tanto nel proprio settore (l’azienda casalese, storica produttrice del marchio Krumiri, aveva rilevato anni fa da Nestlè, che già aveva acquisito anni prima gli ex marchi Sme Motta e Alemagna, i marchi Buondì, Girella, Ciocorì e Baci di dama), quanto in un settore parallelo, quello della grande distribuzione alimentare con l’acquisizione di Onda Market, proprietaria dell’insegna Dimeglio.

Un’operazione di diversificazione costosa che non avrebbe portato negli anni i risultati sperati (come accaduto anche ad altri gruppi, Fiat in testa, del resto) e in compenso avrebbe finito con l’appesantire la struttura finanziaria del gruppo che in una fase di ristrettezza del credito e di stagnazione dei consumi come l’attuale potrebbe dunque finire “mangiato” dal concorrente veronese. Comunque sia è l’ennesima conferma dell’appetibilità e vitalità, anche in un momento di crisi, del comparto dell’alimentare tipico italiano, quello stesso che assieme alla moda e all’artigianato di lusso piace tanto agli investitori esteri, come ha testimoniato poche settimane fa l’annunciata joint-venture tra Fondo Strategico Italiano (che fa capo a CdP) e Qatar Holding Fondo Strategico Italiano (che fa capo a CdP) e Qatar Holding proprio per investire in tali attività. Forse questa tanto bistrattata Italia qualche opportunità può ancora offrirla a chi saprà coglierla (nel “made in Italy” di qualità, non necessariamente solo nei settori suddetti ma anche in nuovi ambiti tecnologici grazie alle nostre migliori startup), sperando che le riforme proseguano e finalmente pieghino la burocrazia, la corruzione e il fisco opprimente.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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