Che negli ultimi mesi sul fronte interno il Governo Monti non stia raccogliendo consensi ed apprezzamenti è cosa evidente. Del resto, alle legittime critiche nel merito dei provvedimenti (cui hanno contribuito le indecisioni, le gaffe e gli errori dei tecnici scelti a "riformare politica e Paese"), si sono sommati pregiudizi e manovre "tattiche" che hanno sostanzialmente finito col delegittimare l'operato del Governo e costringere lo stesso professore ad una serie di compromessi, trattative e cambi di orientamento. L'elenco sarebbe lunghissimo e, al netto del procedere a colpi di fiducia (che tecnicamente sarebbe l'ultima spiaggia e non la prassi) resta veramente arduo ipotizzare di trascinare per ancora un anno una situazione del genere. E certo la situazione nella quale il Paese arriva al cruciale vertice di Bruxelles non è delle migliori, per usare un eufemismo. Malgrado l'approvazione della riforma del lavoro, in effetti, il rapporto tra Parlamento e Governo è praticamente ridotto ad un gioco delle parti (il surreale dibattito – voto di ieri ne è lampante testimonianza), con l'incubo di una crisi istituzionale che addirittura qualcuno ha inteso legare alle ferie estive. Quanto al rapporto con l'opinione pubblica, i tecnici devono aver superato da tempo la "sindrome del consenso popolare", ripiegando su quella da "accerchiamento" ed evitando, va detto per quanto possibile e con qualche eccezione, quella politica dell'annuncio che pure aveva condizionato il loro operato nei primi giorni di mandato.
E lo stesso Monti in Europa sembra un'altra persona. Una credibilità riconosciuta a livello internazionale e finanche un certo piglio decisionista che ha di fatto riportato il nostro Paese nel novero degli "aventi diritto" a considerazione e rispetto. Certo, il prezzo da pagare è stato alto e non sempre le scelte del professore hanno trovato consenso unanime (parliamo di provvedimenti in materia di crescita, del fiscal compact ma non solo), ma è difficilmente negabile che Monti sia riuscito a gestire in maniera sensata i rapporti a livello comunitario. Non lesinando nemmeno una sorta di prova di forza nei confronti del cancelliere Merkel, con il vincolo dello "scudo salva spread" alla ratifica italiana della tobin tax, il provvedimento che più degli altri interessa Berlino. Certo, le cose sono molto più complesse di una ricostruzione sommaria, ma le convergenze con Spagna e Francia sembrano proprio prefigurare quello che si annuncia come un lungo braccio di ferro con la Merkel e la sua linea rigorista. Un momento cruciale, in ogni caso, con lo stesso Monti preparato al peggio, ovvero all'intransigenza tedesca e alla fine prematura delle trattative. Un'evenienza alla quale sembrano pronti anche gli altri membri dell'esecutivo, cui è stato "consigliato di rendersi reperibili e non allontanarsi da Roma", nel caso in cui dovesse rendersi necessario un Consiglio dei ministri straordinario per prendere misure d'urgenza (come scrive Bei su Repubblica). Insomma, prepararsi al peggio..