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Opinioni

L’Europa si prepara a mandare in soffitta l’austerity

Nessuno lo dice apertamente, ma nella Ue qualcosa sta cambiando a causa dei colpi di una recessione autoinflitta. Così se l’Italia saprà darsi un governo in grado di fare riforme, l’austerity potrebbe finire in soffitta…
A cura di Luca Spoldi
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Eurowoter

Mentre a Roma si discute, Bruxelles verrà espugnata? Se Giovanni Negri, ex leader Radicale ed oggi imprenditore enogastronomico, intervenendo alla trasmissione televisiva Agorà ha detto apertamente di no “all’ennesimo governo Merkel-Napolitano”, magari “rivestito Visco-Banca d’Italia” e chiede di varare “un governo vero”, fatto dai partiti che hanno raccolto voti veri, pienamente legittimato a “fare un viaggio a Bruxelles e Berlino” simile a quello fatto nel dopoguerra da Alcide De Gasperi a Washington che consentì la definizione di aiuti economici ed alimentari dei quali l’Italia aveva un disperato bisogno in quel frangente, con l’obiettivo di ottenere un mutamento della politica di austerità promossa dalla Germania e adottata dall’intera Unione Europea, con pesanti impatti recessivi, da più parti si segnala come effettivamente qualcosa stia mutando anche se mancano ancora diversi mesi alle elezioni tedesche di settembre, finora ritenute limite invalicabile prima del quale sarebbe stato impossibile vedere un mutato atteggiamento del governo di Berlino in merito alla possibilità di varare una qualche forma di mutualizzazione del debito sovrano europeo o di allentamento dei vincoli di bilancio previsti dal fiscal compact.

Che il rigore sia necessario, peraltro, lo ricordano ad ogni tentennamento non solo i mercati finanziari ma anche le agenzie di rating (puntualmente accusate di far parte di un “grande complotto mondiale” ogni volta che bacchettano qualche governo eccessivamente propenso a far ulteriormente crescere il proprio indebitamento) e soprattutto la stessa Banca centrale europea, che pure sotto la guida di Mario Draghi non ha esitato a intervenire a sostegno di paesi come Spagna e Italia per evitare che gli investitori fuggissero completamente come accaduto in Grecia, con tutte le conseguenze del caso. Ma, ed anche questa è cosa ormai nota, di eccesso di rigore si può morire, il che rende necessario una certa duttilità tattica se si vuole realmente coniugare una maggiore serietà nella gestione del debito pubblico e privato con un miglioramento delle condizioni strutturali di un sistema economico.

Così, come sottolinea Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners, se è vero che “messe contro il muro, le singole classi dirigenti nazionali del nostro continente” continuano “a scegliere l’Europa e l’euro non per idealismo, ma perché hanno paura di se stesse”, ma  “l’euro è costruito così male e l’austerità disegnata dalla Germania è così controproducente che lo spazio per migliorare il progetto complessivo è davvero ampio”. Per migliorare il progetto, si badi, non per distruggerlo perché, sottolinea ancora Fugnoli, se l’Italia (o altri stati) uscisse dall’euro, sarebbe capace “di fare come la Svezia e di accompagnare la svalutazione” che inevitabilmente seguirebbe, nel tentativo di recuperare quella competitività che altrimenti recupereremo solo con anni di deflazione interna fatta di salari in calo, pagamenti sempre più dilazionati, lavori sempre più precari, “con una flessibilizzazione della nostra struttura”, ossia con riforme in grado di cambiare il volto a un paese oggi diviso tra mille corporazioni intente solo a difendere le rendite di posizione degli “insider”, “o non seguiremo piuttosto la via argentina, quella di mantenerci eternamente rigidi, ricorrendo periodicamente alla svalutazione?

Il dubbio è più che legittimo ma va ricordato una volta per tutte che la via argentina “porta a un rimpicciolimento costante dell’economia in rapporto agli altri paesi”, ad una decrescita infelicissima che “nel caso argentino, è rallentata dalla scoperta continua di risorse naturali abbondanti. Noi, queste risorse, non le abbiamo” ricorda ancora Fugnoli che conclude: “Quanto alla nostalgia degli anni pre-euro, non dimentichiamo che tranquillità e benessere ce li compravamo, oltre che svalutando, con un debito pubblico crescente” che nel frattempo ha raggiunto il 127% del nostro Pil e che è la causa principale dei guai in cui ci troviamo oggi. Qualcosa comunque, si diceva, sta cambiando a livello europeo, verrebbe da dire inevitabilmente visto che ormai la crisi sta iniziando a colpire anche i “virtuosi” paesi del Nord come Germania e Olanda, sempre più in affanno.

Intanto, prima la Spagna, poi il Portogallo hanno iniziato a rinviare di un anno gli obiettivi di disavanzo: ora sembra toccare a Francia e Italia, sempre che l’Italia si doti di un governo credibile e non impensierisca nuovamente i mercati. “Tutta la politica fiscale europea sta passando da fortemente restrittiva a neutrale e perfino espansiva. A questo sta corrispondendo un modesto irrigidimento della politica monetaria” perché una parte delle banche europee sta iniziando a restituire i soldi prestati dalla Bce l’anno passato, “ma l’effetto combinato monetario e fiscale è di fatto espansivo” conclude Fugnoli secondo cui “non si può dirlo forte, ma l’austerità è rinviata e forse è finita”. Il che non basta, aggiungo io che rispetto al collega sono molto più prudente, per dire che la crisi sia alle spalle, tanto più in Italia dove le riforme strutturali non riescono quasi mai a giungere nei tempi previsti, sempre che giungano. Però il momento potrebbe essere quello giusto, per varare un esecutivo in grado di sedersi al tavolo europeo con una certa autorevolezza, assicurando riforme in grado di rilanciare l’economia italiana e disinnescare la bomba del debito non tramite populistiche minacce di uscita dall’euro e di “rinegoziazione” del debito pubblico (ossia di un default pilotato che colpirebbe in gran parte banche e famiglie italiane, con  effetti depressivi facilmente immaginabili) ma tramite una ritrovata voglia di crescita. Una crescita “sana” accompagnata da tagli alle spese e riduzione in parallelo del peso fiscale che sia in grado di liberare energia e creare nuove opportunità d’impiego per i nostri giovani. Il resto sono chiacchiere e sarebbe meglio lasciarle al bar.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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