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Opinioni

L’eurocrisi spaventa i mercati, ma uscirne è possibile

Anche oggi non sono mancate le sorprese negative per i mercati, così gli investitori sono tornati a vendere azioni e bond del Sud Europa. Uscire dalla crisi resta possibile, ma è una questione di scelte…
A cura di Luca Spoldi
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Angel Gurria

Torna a crescere la tensione sulla crisi del debito sovrano e in particolare della Grecia, complice una nuova serie di annunci e voci che mantengono alta la tensione nonostante i tentativi delle banche centrali di mantenere la liquidità abbondante e i tassi di mercato monetario al più basso livello possibile, una strategia che secondo molti osservatori ormai non serve più a nulla a fronte di mercati totalmente disfunzionali dove il problema resta la totale sfiducia nelle soluzioni finora proposte alla crisi del debito sovrano ed in assenza di una soluzione sistemica che richiede, purtroppo, i tempi lunghi della politica più volte dimostratisi troppo lunghi rispetto al metro dei mercati.

Ha dato una prima scossa stamane la decisione di Moody’s di tagliare da “stabile” a “negativo” l’outlook sui rating sovrani di Germania, Olanda e Lussemburgo, pur confermando gli stessi a “AAA”; unico paese che resta con rating “AAA” e outlook stabile in Europa è così la Finlandia. La mossa indica chiaramente sia la possibilità di un futuro taglio del merito di credito nei mesi a venire, sia la dimensione sempre più “sistemica” della crisi, tanto che tra le motivazioni indicate dagli esperti alla base della decisione vi sono i rischi in crescita di un’uscita della Grecia dall’eurozona e l’aumentare del rischio contagio per Spagna e Italia che potrebbero dunque chiedere l’attivazione di un programma di aiuti comunitari.

Ulteriore scossone alla fiducia già scarsa degli investitori è giunto a fine giornata, quando si sono diffusi i commenti di fonti Ue rilanciati dalle principali agenzie e blog finanziari mondiali secondo cui Atene non sembrerebbe in grado di centrare gli obiettivi di riduzione del debito concordati con la “troika” Ue-Bce-Fmi. La notizia non può sorprendere chi mi segue su Fanpage, dato che da tempo il sottoscritto e molti più illustri colleghi segnalavano come in un’economia in caduta libera come quella greca le misure di “austerity” imposte dalla troika in cambio degli aiuti avrebbero finito col portare nell’immediato ad un ulteriore calo del Pil facendo mancare gli obiettivi concordati, ma intanto ricordarlo così assiduamente mantiene sulla corda gli operatori che temono chiaramente un secondo e definitivo default ellenico in stile Argentina (che nel 2001 dichiarò default su “appena” 66 miliardi di euro di titoli e tuttora pare non del tutto al sicuro da nuovi default, anzi) o Russia (che fece fallimento per 64 miliardi di euro nel 1998).

Più che una “Grexit” come i giornali di mezzo mondo chiamano l’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro (ipotesi catastrofica ma che alcuni sostengono stia guadagnando terreno tra le forze politiche tedesche, tanto per non smentire il fatto che questa crisi ha tanti illustri padri e madri) è tuttavia l’effetto-domino che preoccupa e si capisce perché: la Grecia dopo la ristrutturazione dello scorso marzo ha un “residuo” di 230 miliardi di euro di debito pubblico, Portogallo e Spagna stanno attorno ai 170 miliardi, l’Italia da sola ha un debito pubblico che a fine maggio ha raggiunto i 1.966 miliardi di euro ed ormai rappresenta il 123% del Pil italiano. E’ chiaro in questa condizione che o la Bce si dota di un “bazooka” o la politica dei “firewall”, dei fondi “salva-stati” o salva-banche non funziona, perché la coperta è agli occhi degli investitori troppo cota per tutelare tutti.

Ha sintetizzato i timori di molti il responsabile investimenti di Dws (gruppo Deutsche Bank), Asoka Woehrmann, che nell’ultima Cio View parlando di Italia e Spagna ha scritto: “l’economia (italiana, ndr) si è contratta dello 0,8% rispetto al trimestre precedente e per il 2012 non ci sorprenderebbe un declino dell‘1,5%-2%. Non si è registrato nessun miglioramento significativo del costo unitario del lavoro e varie riforme proposte da Mario Monti si sono arenate”, mentre in Spagna “sono le banche nazionali a essere in difficoltà” e “mentre i depositi privati in Italia sono rimasti stabili negli ultimi sei mesi (da dicembre a maggio), i risparmiatori spagnoli hanno prelevato dai loro conti 90,3 miliardi di euro”. Nel frattempo, “le banche hanno aumentato di 78,1 miliardi di euro i loro investimenti in titoli di Stato”, il che in simili frangenti le rende sempre più esposte al rischio-contagio.

Certo, spiega Woehrmann, non è ancora il caso di lasciarsi andare al panico: “perché si materializzi una turbolenza “stile estate 2011“, dovremmo temere qualcosa in più sul fronte economico”. Dopotutto “non arrivano solo brutte notizie dal Belpaese: per esempio, il deficit commerciale si sta rapidamente riducendo” e “sarebbe più pericoloso se Monti dovesse perdere il sostegno popolare” anche perché “l’ultimo programma di austerity ha una pessima tempistica”, mentre “per le prossime elezioni ancora una volta si invoca il nome di Silvio Berlusconi, che gioca la carta anti Euro e potrebbe incitare all‘instabilità politica”. Inoltre, aggiunge l’esperto “la questione della stretta creditizia in Spagna (ma non solo, ndr) è più pressante che mai. Il meccanismo di trasmissione monetaria non funziona più, la politica del denaro a basso costo fallisce proprio dove servirebbe di più. È per questo che i capi di stato e i banchieri centrali vedono il settore finanziario come l‘anello debole da affrontare per primo”.

Così la crisi finisce per l’avvitarsi nuovamente tra tensioni sui debiti sovrani, timori per la tenuta del settore creditizio specie nei paesi del Sud Europa e incertezze sull’impatto che si potrà avere sullo scenario macro tanto per via di eventuali ulteriori manovre correttive quanto a causa del proseguimento del “credit crunch”. La nottata, come si dice a Napoli, deve passare ma la sensazione è che siamo ancora molto distanti anche solo dall’alba. A farne le spese sono così nuovamente i titoli di stato di Italia, Spagna e Portogallo, col Btp decennale guida italiano in particolare che vede il rendimento sfiorare il 5,59%, con una crescita di oltre 25 punti base rispetto a ieri, mentre lo spread contro Bund, nonostante l’andamento non brillante del titolo tedesco, chiude in ulteriore rialzo portandosi sul 5,35% (19 punti base più di ieri).

Livelli sempre più chiaramente insostenibili e che secondo Angel Gurria, segretario dell’Ocse, dovrebbero indurre la Bce a usare il “bazooka” per stoppare il rialzo degli spread di Italia e Spagna riattivando il programma di acquisto di titoli di stato sul mercato secondario per importi più elevati di quanto fatto finora. Mentre qualche analista come Alessandro Fugnoli nota come nella fretta di disfarsi di titoli “a rischio” gli investitori finiscano col parcheggiare la liquidità su qualsiasi altro asset, dai bond societari ai titoli di stato dei “paradisi sicuri” e non, persino ucraini o ungherese mandando a rendimento negativo (dopo Germania, Svizzera, Danimarca, Francia e Esfs) persino i titoli del Belgio.

Il Belgio, ricorda Fugnoli, “nei primi anni Novanta aveva un debito più alto del nostro, vicino al 140%, e lo guardavamo dall’alto in basso perché aveva un’economia in piena decadenza e uno stato in via di disintegrazione. Oggi sta di poco sotto il 100% e ha crescita zero (2 punti percentuali più di noi). Per tagliare il debito non ha fatto niente di geniale e niente finanza straordinaria. Non ha aumentato a dismisura le tasse e non ha fatto macelleria sociale. Ha semplicemente deciso di agganciare le spese al Pil reale (senza ridurle, quindi) e le entrate al Pil nominale. L’ha fatto con pazienza, anno dopo anno, è stata l’unica cosa (insieme alla decisione di tenersi il re) su cui sono stati d’accordo valloni, fiamminghi, tedeschi, arabi turchi, socialisti e popolari che su tutto il resto non hanno fatto che litigare e frantumarsi in cantoni sempre più piccoli. Erano dati per quasi falliti, ma con 40 punti di debito in meno rispetto al 1993, oggi emettono a rendimento negativo”.  Uscire da una crisi, qualsiasi crisi, è possibile: basta volerlo e saperlo fare, ma anche questa non è una novità.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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