Nuovi segnali che lentamente l’economia italiana inizia ad emergere dalla recessione grazie alla ripresa mondiale in atto: stamane l’indice Pmi dei direttori acquisti elaborato da Markit e Adaci è apparso in crescita ad agosto a 51,3 punti dai 50,4 di luglio, rispetto a stime di consensus che parlavano di un rialzo a 51,0 punti, confermando per il secondo mese consecutivo l’espansione dell’attività manifatturiera in Italia, grazie in particolare all’aumento dei nuovi ordini e della produzione. Una “ripresina” che comunque non basta a superare la crisi dell’occupazione, che al contrario continua a diminuire per il 25esimo mese consecutivo, per di più accelerando leggermente il calo rispetto a luglio. Di più: nonostante questi primi segnali di recupero, il livello di attività dell’economia italiana resta inferiore a quelli di fine 2001.
Nel Belpaese si vive del resto da mesi un clima di perenne “rinvio”, sia nell’azione politica (rimasta incagliata nel braccio di ferro tra Pd e Pdl, formalmente alleati di governo ma di fatto ancora su posizioni non molto dissimili da quelle viste in campagna elettorale, il che non è il massimo se si aspira a fare una qualsivoglia delle riforme di cui pure il paese ha disperatamente bisogno da anni se non decenni), sia in quella economica, quanto meno per la parte riguardante le attività indirizzate al mercato interno. Un rinvio continuo, in attesa non si sa bene di cosa, se di una ripresa mondiale ed europea più forte che come una marea riesca a rialzare anche un’economia tricolore che rischia sempre più di assomigliare a un relitto, o di un esito “sorprendente” delle elezioni politiche tedesche del prossimo 22 settembre, o di un superamento delle incertezze che attanagliano da qualche tempo i mercati emergenti.
Sta di fatto che mentre in giro per il mondo tornano a bollire molte “pentole”, in Italia tutto resta come sospeso. Un esempio è il settore delle telecomunicazioni: l’attività di fusione e acquisizione è ripresa e vede protagonisti gruppi del peso di Vodafone, che in serata dovrebbe formalizzare un’intesa con Verizone Communication per cederle il suo 45% di Verizon Wireless per una cifra “monstre” (si parla di 130 miliardi di dollari tra contanti, per 60 miliardi, azioni, per altrettanti miliardi, e transazioni “minori” per una decina di miliardi), di Telefonica, che ha appena fatto shopping in Germania, di America Movil, che sta cercando di mettere le mani su ciò che resta di Kpn. Mentre alla finestra, ma non ancora per molto, sembra esservi At&t.
Gli americani, secondo le ultime indiscrezioni, potrebbero a breve lanciare un’offerta vuoi per Telefonica (che resta molto indebitata, 48,5 miliardi di euro destinati a ridursi sotto i 47 miliardi a fine anno, comunque già in marcato calo rispetto ai 58 miliardi toccati nell’ottobre dello scorso anno) vuoi per Telecom Italia o per la sua controllata Tim Brazil (che farebbe gola anche a Vodafone, piuttosto che ad America Movil e alla stessa Telefonica, non ci fossero come invece ci sono rilevanti problemi di Antitrust). Se lo faranno e se riceveranno un “via libera” dagli attuali soci di controllo di Telco (tra i quali Generali e Mediobanca sembrano sempre meno intenzionate a rimanere a lungo nella holding che controlla il 22,3% dell’ex monopolista telefonico italiano) lo si capirà probabilmente entro fine settembre.
Un mese probabilmente “decisivo” per molte partite, a livello economico e politico: le vacanze sembrano decisamente terminate, speriamo che finalmente ci si possa lasciare alle spalle anche un periodo di incertezza che ha fatto molti, troppi danni, per poter riprendere la marcia verso una ripresa in grado anche di riassorbire disoccupazione e creare nuova ricchezza. Come si distribuirà tale ricchezza, a vantaggio di quali settori e di quali aziende è ancora presto per potersi dire. Intanto però prendiamo per un segnale di buon auspicio l’ultimo report del Credit Suisse sui titoli di debito sovrani. Gli esperti spiegano oggi che i titoli di stato italiani sono più attraenti di quelli spagnoli su tutte le scadenze, perché nonostante l’attuale turbolenza politica, l’Italia sembra in grado di centrare gli obiettivi di stabilizzazione del debito e di aggiustamento fiscale, assicurandosi una sostenibilità del proprio debito pubblico.
E visto che l’Italia ha un debito pari al 130% abbondante del Pil (dato che salirà inevitabilmente ad almeno il 137% a fine anno, perché sul denominatore agiranno i tassi d’interesse sul debito, attorno al 4,5%, mentre sul denominatore peserà il previsto calo del 2% circa del Pil italiano), dobbiamo sperare che gli uomini del Credit Suisse abbiano una buona capacità previsiva e che nonostante l’empasse politico sempre più evidente governo e Parlamento riescano a varare una legge di stabilità degna di questo nome contenente qualche taglio di spesa e non troppe maggiori imposte ma soprattutto una maggior razionalizzazione dell’una come delle altre. Sarebbe un buon viatico per rendere sostenibile la ripresa ventura e ridare prospettive agli italiani: è chiedere troppo?