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L’Arabia Saudita potrebbe quotare Aramco, maggior produttore petrolifero mondiale

Arabian Oil Company (Aramco), primo produttore al mondo di petrolio, con riserve dieci volte superiori a compegnie come ExxonMobil, sembra intenzionata a sbarcare in borsa. Ma i più perplessi sono proprio i banchieri d’affari…
A cura di Luca Spoldi
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L’anno è appena iniziato ma già si inizia a valutare le possibili matricole che arriveranno nei prossimi mesi. Arabian Oil Company (Aramco), principale produttore petrolifero mondiale (con riserve pari a 10 volte quelle di ExxonMobil), ha confermato oggi di stare studiando un possibile collocamento azionario, nonostante lo stato a dir poco depresso delle quotazioni petrolifere, anche oggi attorno ai 33,5 dollari al barile. L’analisi sta prendendo in considerazione quale possa essere “l’appropriata percentuale del capitale della società o di una sua controllata”, ma è il prezzo la vera incognita.

Una volta che l’analisi sarà completata le sue risultanze saranno portate all’attenzione del Cda della società, che dovrà fornire una raccomandazione in merito al Concilio Supremo di Aramco, cui spetterà l’ultima parola sull’operazione. Ma quanto vale Aramco? Nessuno sembra saperlo esattamente: alcuni operatori Aramco azzardano una valutazione superiore a 2.500 miliardi di dollari per il 100% della società, ma visto la volatilità dei prezzi del petrolio in questi anni qualsiasi valore tra mille e 10 mila miliardi di dollari potrebbe essere quello giusto.

Tanto per capirci: l’americana ExxonMobil ha attualmente una capitalizzazione di mercato di 317 miliardi di dollari, ma stava a 436 un anno e mezzo fa, la cinese Petrochina, che nel 2007 era arrivata a mille miliardi, vale invece poco meno di 210 miliardi, la russa Rosneft vale meno di 34 miliardi di dollari dopo essersi quotata nel 2006 raccogliendo 10 miliardi (l’ultima grande Ipo del comparto petrolifero mondiale).

E ancora: la britannica BP supera di poco i 61 miliardi di sterline dopo aver sfiorato i 180 miliardi diciotto mesi or sono, la francese Total arriva a 92 miliardi di euro (ma aveva toccato i 163 miliardi nel giugno di due anni fa), l’italiana Eni è calata a meno di 47 miliardi in questi giorni, contro gli oltre108 miliardi toccati nell’estate del 2014. Come dire che volendo Aramco sarebbe grande abbastanza da comprarsi tutte le “major” petrolifere di cui sopra dando in cambio tra il 40% e il 20% del proprio capitale, o forse anche meno.

Tuttavia la prima reazione di qualunque banchiere d’affari per lavoro frequenti l’Arabia Saudita è stata a dir poco di stupore se non di incredulità. Aramco è finora stata caratterizzata da una gestione a dir poco opaca, quindi è difficile capire, oltre a quanto realmente valga, se e come potrà sottostare agli obblighi di trasparenza propri dei mercati finanziari. Poi il timing non convince proprio: perché collocare una parte anche minima del proprio capitale quando il petrolio sta a un quarto dei valori toccato poco prima della crisi del 2008, quando l’oro nero veniva venduto a 140 dollari al barile?

E’ vero che a questi livelli sia del dollaro sia delle materie prime, petrolio in testa, non ci si aspettano ulteriori capitomboli e, semmai, una graduale risalita dei prezzi, ma nel caso dell’oro nero rimane l’incognita legata all’evolversi della guerra di prezzo tra Arabia Saudita e produttori di shale oil americani (ma indirettamente anche nei confronti della Russia), nonché del braccio di ferro con l’Iran per il predominio geopolitico sull’area del Medio Oriente, braccio di ferro che passa anche per un (non) accordo su eventuali tetti alla produzione Opec, di cui entrambi i paesi sono membri, con priorità tuttavia totalmente differenti (Teheran intende anzitutto tornare a vedere risalire i volumi di esportazioni, per i prezzi ci sarà tempo).

A favore di uno sbarco di Aramco in borsa gioca la necessità della dinastia saudita di distribuire ricchezza alla popolazione per puntellare la propria permanenza al potere. Per questo le vendite di azioni di aziende a controllo statale sono finora avvenute tipicamente con valutazioni sotto quelle di mercato, così da assicurare a chi aveva sottoscritto successivi pingui guadagni attraverso il rialzo delle quotazioni.

Qualche gestore, poi, non esclude che dopo lo “shock dei prezzi di questi ultimo due anni, nel 2016, anno che precede l’insediamento del nuovo presidente americano, possa verificarsi un “contro shock” con una sostanziale risalita dei prezzi. Sarebbe un guaio per economie come quella italiana, ma farebbe bene a Wall Street (il cui supporto economico è spesso decisivo per i candidati presidenti Usa) e alle tasche dei sauditi, oltre che di tutti coloro che dovessero sottoscrivere l’Ipo di Aramco.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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