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L’America è lontana

L’America è lontana: non solo negli States la creazione di 158 mila nuovi posti di lavoro in un mese è giudicato un dato deludente, lì i problemi, come quelli del mercato del lavoro, sono visti come opportunità di business…
A cura di Luca Spoldi
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Disoccupazione, sempre peggio per i giovani

L’America è davvero lontana se i dati mensili relativi alle assunzioni del settore privato statunitense elaborati da Adp (che hanno indicato un saldo netto pari a 158 mila nuovi posti di lavoro in marzo) finiscono col deludere le attese di Wall Street (dove gli analisti si attendevano in media 215 mila nuovi posti di lavoro).  Nell’Europa del “non lavoro”, dove la disoccupazione media resta pari al 10,9% (ossia a 26,338 milioni di persone nella Ue-27, di cui 19,071 milioni nella sola area dell’euro, dove la disoccupazione è pari al 12%, come stimato da Eurostat), l’Italia apparentemente può “non lamentarsi troppo” con un 11,6% di disoccupazione, ma a parte che la media europea è falsata dal dramma di Grecia (dove è disoccupato il 26,4% della popolazione in età da lavoro) e della Spagna (dove la disoccupazione è ormai al 26,3%), il vero volto della crisi del lavoro italiano è raccontato dal dato relativo ai giovani. In tutta la Ue a fine febbraio 5,694 milioni di ragazzi sotto i 25 anni di età non riusciva a trovare lavoro (di cui 3,581 milioni in Eurolandia), pari al 23,5% (il 23,9% in Eurolandia), ma in Italia il dato era molto più alto, il 37,8% per la precisione (in Grecia erano senza lavoro il 58,4% dei giovani, dato a fine 2012, in Spagna il 55,7%, in Portogallo il 38,2%).

In un sistema che sta divorando se stesso e che per questo è sempre più inviso a vaste fasce della popolazione che non hanno memoria di chi ha causato questo dissesto (in primis coloro che fecero debiti per decenni e per decenni mal gestirono la cosa pubblica, in Italia come altrove, in seconda battuta coloro che mal costruirono l’Europa dell’euro non prevedendo che accanto ad un’unione monetaria partisse da subito un’unione bancaria e quanto prima anche un’unione fiscale e politica) e sono insofferenti ai dibattiti sulla ricetta da adottare, volendo solo veder ripartire l’economia in qualche modo, l’Italia è pienamente allineata, dunque, agli altri paesi della “sponda Sud” e non è una piacevole compagnia. Se i giovani stanno male, non è che gli imprenditori stiano meglio: dal 2012 sono ormai un centinaio i titolari di imprese che si sono suicidati (gli ultimi due nel fine settimana pasquale) e se statisticamente il dato non sembra diverso dai trend storici, di certo non è un motivo per rallegrarsi.

Del resto che motivo ci sarebbe di gioire se persino il previsto pagamento in due tranche dei 40 miliardi (su 90 miliardi totali stimati dalla Banca d’Italia) di crediti vantati dalle imprese private nei confronti della pubblica amministrazione italiana (che paga mediamente con un ritardo di oltre 6 mesi a causa del quale sono fallite almeno 15 mila aziende da inizio anno, con una perdita di circa 60 mila posti di lavoro secondo la Cgia di Mestre), che avrebbe dovuto essere approvato oggi dal Consiglio dei ministri ed è invece slittato per la necessità di “ulteriori approfondimenti”, rischia di essere concesso solo in contropartita (per esigenza di copertura contabile) di un’anticipazione di un anno (dal 2014 ad oggi) dell’atteso incremento dell’aliquota addizionale regionale sull’Irpef di uno 0,6% (con un massimale che salirebbe così dall’1,73% al 2,33%), ipotesi che finirebbe col far pagare ai contribuenti attorno ai 138 euro in più all’anno di imposte, scaricando così su “Pantalone” l’eventuale “sostegno alla ripresa” (anche se nell’ultima bozza il riferimento all’addizionale Irpef sembra scomparso)?

Un sostegno che poi tale non è: non occorre essere Nostradamus (né serve a molto battere i piedi per terra, corrucciati, come continuano a fare i rappresentanti di M5S) per capire che se un’azienda non viene pagata che 6 mesi o più dopo aver erogato i propri servizi o ceduto i propri prodotti, per non fallire è costretta a farsi anticipare il capitale dalle banche, gonfiando il capitale circolante. E siccome questo ha un costo, non appena riuscirà a rientrare in possesso dei propri crediti, li utilizzerà per tagliare l’utilizzo del credito bancario medesimo (fido o scoperto di conto che sia), sempre che non abbia già ceduto il credito stesso “pro soluto” o “pro solvendo” all’istituto bancario (che dunque diverrebbe automaticamente il percettore della somma finalmente erogata dalla pubblica amministrazione). Insomma, il saldo di questi debiti per 20 miliardi di euro quest’anno e altrettanto il prossimo servirà a ridurre, non ad aumentare, il credito bancario e quindi se potrà contribuire ad alleviare la tensione sul settore creditizio (che soffre per la crescita delle sofferenze e il latente rischio di nuovi capitomboli dei titoli di stato italiani, in mano alle banche per non meno di 378,5 miliardi a fine febbraio, secondo dati Banca d’Italia, di cui 161-162 miliardi detenuti dai sei maggiori gruppi italiani: Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mps, Ubi Banca, Banco Popolare e Bper), di certo non favorirà un riassorbimento significativo della disoccupazione (né giovanile né di altro genere).

E qui siamo ancora una volta a chiederci: un sistema che sta ripiegato su se stesso cercando solo di chiudere le falle che si aprono nei propri conti pubblici e di ripagare i debiti fatti in passato, senza alcuna prospettiva di crescita per il futuro, che futuro può offrire ai suoi figli? Non una carriera, per la quale servirebbero posti di lavoro e possibilità di fare esperienze in grado di arricchire le persone e aumentarne la capacità di fornire un valore aggiunto alla propria impresa. Non una pensione, che non può essere erogata se mancano i contributi aziendali e dei singoli lavoratori o se questi sono troppo modesti e saltuari dato che i giovani se lavorano lavorano come precari quando non in nero. Non una prospettiva di miglioramento economico, sociale o culturale se non ci sono sostegni, se non minimi, alle iniziative spontanee “dal basso”. Eppure come vado ripetendo l’Italia ha ancora tanto da offrire, i nostri giovani sanno inventarsi nuovi business, nuovi modelli di attività, nuovi servizi. Servirebbe loro un servizio come After College che li guidi dall’Università al primo impiego. Ma After Collage, guarda caso, è attivo, con crescente successo, in America, un paese dove si chiacchiera meno dei problemi e ci si ingegna per riuscire a sviluppare un business reddizio anche dai problemi medesimi. L’America, come detto, è lontana e rischia di rimanere tale ancora a lungo. Peccato.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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