Non dire gatto se non l’hai nel sacco, soprattutto se il gatto è selvatico e di nazionalità olandese o finlandese. Neppure il tempo per digerire il “cappotto” spagnolo all’Italia calcistica inflitta ieri nella finale degli Europei di calcio 2012 a Kiev che anche il sogno, molto più concreto, di una vittoria politica-economica dei paesi del Sud Europa, Italia in testa, nei confronti del blocco del Centro Nord in tema di gestione della crisi del debito sovrano è venuta meno.
Scordatevi tutti i proclami sulla ritrovata leadership italiana in Europa su cui i principali partiti di governo (e perché no di opposizione, dentro e fuori il Parlamento) provavano a mettere un cappello scordandosi che se in questa situazione ci siamo ritrovati è stata per una ventennale incapacità di dare seguito a programmi, proclami e sogni vari in termini concreti di riforme, tagli delle tasse e riduzione della spesa e dell’evasione fiscale. La realtà è che, semplicemente, Mario Monti ha giocato al meglio le sue carte, compresa una riforma del lavoro imperfetta ma finalmente approvata dopo anni di tentennamenti, e ha raggiunto un compromesso sulla crescita e, almeno in parte, sulla futura forma di “mutualità” del debito europeo.
Mutualità che resta ben di là dal divenire visto che anche solo per far funzionare il meccanismo “anti spread” di cui parla il comunicato ufficiale del vertice di Bruxelles della settimana scorsa (meccanismo che comunque nascerebbe depotenziato dal fatto di non essere affidato alla Bce con acquisti potenzialmente illimitati di titoli per mettere a tacere la speculazione, ma si baserebbe su parte della dotazione del fondo salva stato permanente Esm, già ora giudicate insufficienti) servirebbe il via libera di tutti e diciassette i membri dell’Eurozona.
Ma Olanda e Finlandia di dare il loro ok non hanno alcuna voglia e a differenza della Germania di Angela Merkel che deve ancora “prendere le misure” alla nuova Francia di Francois Hollande e concedere all’Italia di Monti che qualcosa è stato pur fatto in termini sia di conti pubblici (saremo quest’anno il paese più virtuoso di tutto e l’unico con un avanzo primario, ossia al netto degli interessi che paghiamo sul debito pubblico, il che è come dire che pagheremo più tasse dei servizi che riceveremo in cambio) possono permettersi di recitare il ruolo dei poliziotti cattivi, quello del poliziotto buono essendo già stato recitato da Berlino.
L’idea di fondo, ha ribadito anche oggi il premier finlandese Jyrki Katainen in una nota al Parlamento, è che l’Esm non dovrebbe acquistare direttamente bond sovrani sul mercato secondario, giudicata “una via inefficiente per stabilizzare i mercati”, piuttosto andrebbe approfondita l’idea di emettere “covered bond” (ossia bond garantiti da asset reali) da parte di Spagna o Italia o altri paesi che pur rispettando gli impegni comunitari si trovino in difficoltà.
Mentre l’Olanda ha subito dato il suo appoggio alla Finlandia dall’ufficio del Commissario agli Affari economici e monetari Ue, Olli Rehn, è giunta una precisazione che ricorda che il regolamento dell’Esm non prevede che le decisioni vengano prese all’unanimità ma “solo”(si fa per dire) con una maggioranza qualificata dell’85% prevista nei casi in cui la Bce e la Commissione Ue giudichino che un’eventuale inazione del fondo minacciasse la sostenibilità economica e finanziaria dell’eurozona.
Il tiro alla fune prosegue dunque tra virtuosi e spendaccioni, tra un approccio moralista e uno pratico, tra chi invoca il fuoco sacro del rigore anche a costo di mandare ancora più in depressione l’economia del vecchio continente, dove, è notizia di oggi, a fine maggio 24,868 milioni di persone erano senza lavoro nella Ue-27 (il 10,3% del totale della popolazione attiva) di cui 17,561 milioni nell’Eurozona (l’11,1%) e chi vorrebbe qualche “rilassamento” per dare sfogo alla crescita e teme che i promessi 120 miliardi di euro (in parte trattandosi già di fondi strutturali, dunque non di nuove somme ma di capitali già messi a disposizione).
Nel frattempo l’economia continua a cambiare ma lo stesso Monti sembra faticare a capire la portata della rivoluzione in atto e pur preannunciando nuove “riforme” (tra cui finalmente una spendin review di cui c’era bisogno, come metodologia, già almeno 20 anni fa e che potrebbe portare a una riduzione del numero di lavoratori statali attorno a 100 mila unità in tre anni, il che rischia di far ulteriormente salire l’età media del comparto pubblico e difficilmente di incrementarne l’efficienza se non si investirà in formazione del personale e non si alleggerirà la selva di norme burocratiche esistenti) non sembra comprendere che nel 2012 per essere competitivi non si può puntare solo a ridurre il peso del settore pubblico né si può sperare di rilanciare il settore privato solo comprimendo il costo del lavoro.
Serve un colpo d’ali, una capacità di guardare oltre la crisi (come sembrano fare le grandi aziende europee e americane che da giorni annunciano nuove fusioni e acquisizioni multimiliardarie e certo non lo fanno pensando solo a futuri risparmi in termini di costi) e decidere quali investimenti effettuare, su quali settori puntare, che tipo di utilizzo vogliamo fare del nostro immenso capitale culturale, artistico, architettonico, paesaggistico, ma anche che strumenti possano essere adatti a tutelare le start up di tanti ragazzi con buone idee ma pochi capitali, come tutelare il futuro dei milioni di partite Iva che nascondono situazioni di precariato che si trascinano da anni.
Dovremmo trovare il modo di cambiare il nostro modulo di gioco e senza cadere nelle diatribe europee o nelle bizze da Prima Repubblica della nostra politica ridare energia al cuore pulsante dell’economia italiana. Che guarda caso ancora passa per il 70% dalle Pmi. Solo riqualificando le piccole e medie imprese, dando loro il modo di aggregarsi, facendo sì che investano in cultura (da quella dei loro dipendenti a quella dei figli e nipoti del proprietario) possiamo sperare di recuperare quote di mercato con prodotti e servizi al passo coi tempi e un’offerta culturale adeguata al nostro patrimonio. Altrimenti ci sveglieremo come si è dovuta svegliare l’Italia di Prandelli, che pur battendosi al meglio delle sue condizioni attuali ha dovuto soccombere ad avversari più forti e maggiormente favoriti dalle regole del gioco.