Buone notizie, o forse no: a febbraio secondo le stime diramate stamane dall’Istat, il numero degli occupati in Italia è rimasto stabile rispetto a gennaio, confermandosi così attorno ai livelli visti nei quattro mesi precedenti. Nell’ultimo mese cresce il numero di donne occupate e cala quello degli uomini. L’occupazione, ci dice l’Istat, “aumenta tra gli ultracinquantenni e diminuisce nelle restanti classi di età”.
Il che forse non è una bellissima notizia per i tanti giovani che attendono di trovare un’occupazione, tanto più che scorrendo le stime per la sola fascia d’età tra 15 e 24 anni si scopre che nel trimestre dicembre-febbraio il numero di occupati è assolutamente stabile a 966 mila, i disoccupati paiono in calo di 41 mila unità a 525 mila, ma il numero di inattivi sale di 38 mila unità a 4,394 milioni. Ma non vorrete mica stare a sottilizzare, no?
Secondo l’Istat, però, sale il numero di lavoratori a termine mentre calano i lavoratori a tempo indeterminato e restano stabili gli indipendenti ed anche questo non sembra essere un risultato particolarmente positivo dopo la fanfare utilizzate lo scorso anno quando il “Jobs Act” sembrava creare miracolosamente posti di lavoro per decreto (mentre era il minor ricorso alla cassa integrazione e la stabilizzazione di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato favorita dalla lieve ripresa in atto) , anche se il tasso di occupazione complessivo appare stabile al 57,5%, pur con una lieve crescita degli occupati nel periodo dicembre-febbraio rispetto al trimestre precedente (+0,1%, ovvero 14 mila persone), determinata però dall’aumento dei dipendenti a termine, in particolare donne ed ultracinquantenni.
Attenzione poi: l’Istat avverte che “la stima delle persone in cerca di occupazione a febbraio registra un forte calo su base mensile (-2,7%, pari a -83 mila)”, un calo che interessa uomini e donne ed è più accentuato tra i 15-24enni e gli over 50. Come dire che i ragazzi e persino gli ultracinquantenni (quelli che sembravano il “motore” dell’incremento occupazionale) stanno rinunciando a cercare lavoro, escono dal mercato e per questo il tasso di disoccupazione scende, nel caso specifico all’11,5% (-0,3 punti percentuali) quello generale, al 35,2% quello giovanile (-1,7 punti percentuali). E questo nonostante la leggera ripresa ciclica in atto, che resta dunque “jobless”, priva di particolari benefici sul mercato del lavoro.
A riprova del fatto che la “ripresa” non esista in termini di maggiore occupazione se non a livello meramente statistico, le stime relative al numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni nell’ultimo mese appaiono in crescita (+0,4%, pari a +51 mila). L’aumento si concentra tra gli uomini, mentre calano leggermente le donne (che restano più tenacemente alla ricerca di un lavoro o forse accettano lavori anche meno retribuiti e meno in linea col proprio profilo professionale prima che arrendersi) e coinvolge tutte le classi di età, ad eccezione degli ultracinquantenni.
Morale: il tasso di inattività è pari al 34,8%, in aumento di 0,1 punti percentuali su gennaio, il che significa che oltre una persona in età da lavoro su tre in Italia continua a non cercare neppure più un impiego, mentre tra chi lo cerca, al netto dell’effetto della componente demografica, cresce su base annua l’incidenza degli occupati sulla popolazione in tutte le classi di età e si conferma il ruolo predominante degli ultracinquantenni nello spiegare la crescita occupazionale, “anche per effetto dell’aumento dell’età pensionabile”.
Ossia non è che si “assumono” (neppure) nuovi ultracinquantenni, semplicemente non potendo, rispetto al passato, a maturare il requisito per la pensione, cresce il numero di ultracinquantenni che continua a lavorare. A parziale consolazione, nel trimestre dicembre-febbraio alla lieve crescita di occupati si accompagna un deciso calo dei disoccupati (-2,0%, pari a -61 mila) e un aumento degli inattivi meno pronunciato (+0,2%, pari a +27 mila). Il tasso di disoccupazione è così stimato all’11,81%, all’interno di un “intervallo di confidenza” tra l’11,41% e il 12,21%.
Morale: la ripresa resta troppo modesta per indurre le imprese a far ripartire gli investimenti e le assunzioni, il sistema bancario resta afflitto dal problema dei crediti deteriorati, i politici buttano la croce sull’Europa o, magari, su Donald Trump e i suoi dazi all’importazione di prodotti europei ed americani. Servirebbe altro che non la ricercare spasmodica di un “colpevole” individuato tramite correlazioni spurie per far ripartire il paese e dare nuove prospettive ai nostri giovani. Ma a quanto pare non è una priorità di questo governo, come non lo è stata dei governi che lo hanno preceduto.