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Italia: l’ostacolo alla ripresa futura restano le sofferenze bancarie

Mentre Wall Street riparte spinta dalle trimestrali, la borsa di Milano spera in un aiuto dalla Bce a fine mese. Ma il problema restano ancora i crediti deteriorati nascosti nei bilanci delle banche italiane: 83 miliardi di euro netti, ancora in crescita.
A cura di Luca Spoldi
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Mentre Wall Street riparte, sospinta dai buoni numeri della trimestrale del numero uno al mondo dell’alluminio, Alcoa, apparsi superiori alle attese e dunque ennesima conferma della forza della ripresa Usa, che nel corso dell’anno porterà la Federal Reserve ad alzare i tassi di un primo quarto di punto, in Europa le borse (Milano compresa) continuano a vivere sedute in altalena, chiudendo oggi con diffusi e corposi recuperi grazie alla tenuta del prezzo del petrolio, scivolato in mattinata sino sui 45 dollari al barile prima di rimbalzare sui 46 dollari di ieri sera per poi nuovamente riprendere a oscillare tra 45,5 e 46 dollari, e alle attese per la riunione della Bce del prossimo 22 gennaio a Francoforte.

In quella occasione Mario Draghi potrebbe annunciare l’ampliamento dei programmi di acquisto di asset da parte della Bce dai soli covered bond e Abs (Asset backed securities, in sostanza crediti cartolarizzati) ad altre tipologie di carta finanziaria e in particolare a titoli di stato, sempre che la Bundesbank non continui a mettersi di traverso. Ma a chi e quanto servirebbe una nuova iniezione di liquidità nel sistema da parte della Bce attraverso l’acquisto di tali titoli? La sensazione è che, al più, la mossa possa parzialmente togliere le castagne dal fuoco alle banche: se poi queste torneranno o meno a prestare soldi a imprese e famiglie e se queste ultime a loro volta torneranno ad incrementare investimenti e consumi resta molto meno scontato.

Anzitutto, se ad essere acquistati (come già accaduto tra il 2010 e il 2011 attraverso due programmi d’acquisto di bond, il Cbpp e il Securities Markets Programme, il secondo dei quali portò la Bce ad acquitare in particolare oltre 110 miliardi di euro di Btp) saranno titoli di stato, si alleggeriranno le casse delle banche italiane (nelle quali a fine ottobre si trovavano 414 miliardi di tali titoli) e si garantirà un “acquirente d’ultima istanza” per i nuovi titoli italiani, che peraltro in questi giorni stanno trovando un’ottima accoglienza sul mercato (ieri i Bot a 12 mesi hanno registrato il nuovo minimo storico in termini di rendimento con un tasso lordo annuo pari allo 0,243%, oggi tassi in calo sono stati segnati dai Btp a 3 anni, con rendimento lordo dello 0,61% annuo, a 7 anni, con un 1,29%, e dalla scadenza marzo 2030, collocata con un tasso pari al 2,46%) grazie all’abbondante liquidità che sta consentendo anche ad alcune banche e imprese italiane, da Unicredit a Intesa Sanpaolo, fino a Telecom Italia, di rifinanziarsi a lunga scadenza a tassi più convenienti.

Se invece ad essere acquistati fossero ancora Abs e covered bond (finora fermi rispettivamente a 1,79 e a 31,29 miliardi secondo i dati Bce), magari accettando parte dei crediti deteriorati che tuttora giacciono nelle maglie dei bilanci di pressoché tutte le banche italiane in cambio di una qualche forma di garanzia prestata dallo stato italiano, a beneficiarne sarebbero ancora una volta le banche, che semmai potrebbero continuare a investire in titoli di stato italiani consentendo ai rendimenti di rimanere a lungo agli attuali livelli minimi (almeno in termini nominali), con peraltro almeno un paio di problemi che spiega come sempre l’ottimo Mario Seminerio e ch riguardano nella sostanza la difficoltà di stimare correttamente il valore di tali asset (o anche solo di decidere a chi toccherebbe l’arduo compito, ad alto rischio di conflitto d’interessi) e pertanto nel correlato rischio di generare un aiuto di stato alle banche il cui pesi ricadrebbe direttamente sulle spalle dei contribuenti italiani, così facendo allontanando ulteriormente, anziché avvicinare, la data della fatidica ripresa economica tricolore.

Ora: posto che da anni vi ricordo che la ripresa non verrà finanziata dalle banche italiane, almeno finché queste saranno esposte al rischio determinato appunto dai crediti deteriorati (a fine novembre le sofferenze lorde erano salite secondo i dati Abi  a 179,25 miliardi, di cui poco più di 83 miliardi, pari al 20,49% del totale di capitale più riserve della banche, rappresentate da sofferenze nette, ossia da crediti che non torneranno mai più indietro se non per una minima percentuale e che ancora non sono stati coperti da accantonamenti nei bilanci dei vari istituti), tuttora in crescita anche se ad un ritmo che sta via via rallentando, sarebbe auspicabile che se un aiuto deve essere dato sia dato in modo trasparente, chiedendo adeguate contropartite e chiarendo su cui e in che misura graveranno i rischi e i costi dell’operazione. Cosa che finora non è stato minimamente fatto.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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