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Opinioni

Italia, i mercati ora temono uno stallo

Il rendiconto dello stato viene approvato da soli 308 deputati (e un astenuto), senza i voti delle opposizioni. I mercati, in recupero prima del voto, temono uno stallo e tornano a perdere terreno.
A cura di Luca Spoldi
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Camera - votazione rendiconto

Anche senza sfera di cristallo sono stato facile profeta ieri quando pronosticavo una settimana ricca di fuochi d’artificio già da oggi e sino almeno a lunedì prossimo: dopo riunioni “di famiglia” e un’attesa durata tutta la mattinata nel pomeriggio di oggi la votazione del rendiconto dello stato su cui il governo Berlusconi aveva posto la fiducia si è conclusa con un sostanziale stallo. Il governo non ha più la maggioranza ma il provvedimento passa con soli 308 voti favorevoli e un astenuto (su 630) perché alla Camera le opposizioni partecipano alla votazione per garantirne il numero legale ma non votano.

Così mentre a Piazza Affari il rialzo svapora quasi completamente nell’ultima ora di scambi, anche sul mercato obbligazionario riaffiorano quelle vendite che si erano viste a inizio seduta e che poi si erano bloccate, dando anzi spazio a un recupero, in attesa dell’esito del confronto parlamentare, col rendimento sul Btp decennale benchmark che sale al 6,73% (appena sotto il massimo visto a inizio giornata al 6,74%), sempre più vicino alla soglia critica del 7% che ha fatto scattare nei mesi scorsi i salvataggi di Irlanda, Grecia e Portogallo, mentre lo spread tra Btp e Bund sempre sui 10 anni sale al 4,93% (in questo caso il massimo visto a inizio seduta era stato del 4,96%).

Se il governo è debole, debolissimo, tanto che già si parla di un ulteriore vertice, questa volta con gli alleati della Lega Nord (che sembrerebbe tentata dal chiamarsi fuori per meglio prepararsi alle elezioni anticipate), gli inviti da parte di commentatori internazionali perché il premier italiano imiti il suo collega greco George Papandreou e si faccia da parte si fanno pressanti, col responsabile economico della Cdu (il partito del cancelliere tedesco, Angela Merkel), Michael Fuchs, che in un’intervista “candidamente” spiega che Berlusconi dovrebbe dimettersi perché tanto “ognuno sa che non è capace di risolvere la crisi italiana” e dunque meglio lasciar spazio a un nuovo governo che potrebbe proporre le riforme strutturali che da tempo mancano all’appello per far ripartire l’economia italiana, affrontando senza ulteriori indugi anche lo spinoso capitolo della riduzione e riqualificazione della spesa pubblica italiana.

Per Fuchs, peraltro, “in Italia vi sono capitali sufficienti per risolvere la crisi” e dunque non sarebbe necessario arrivare ad un intervento della Ue o del Fmi (che già da domani dovrebbero iniziare ad avviare la propria missione di “controllo” sull’attuazione delle misure concordate dall’Italia) e a guardare bene le trimestrali che in queste ore vengono presentate a Piazza Affari sembra essere proprio così. Si prenda il caso di Intesa Sanpaolo: la principale banca italiana ha chiuso i primi nove mesi con un utile netto in calo a 1.929 milioni di euro (-12,3% rispetto ai 2.200 milioni dei primi 9 mesi 2010), di cui 527 milioni riferiti al solo terzo trimestre (-28,9% rispetto ai 741 milioni dello stesso periodo di un anno fa), ma anche con un Core Tier 1 ratio pari al 10,2% e un Tier 1 ratio all’11,6% a conferma che la banca “non ha alcun bisogno di ulteriore capitale”.  Di più: grazie a questi numeri e ad un andamento “solido” della gestione operativa, con costi che nel solo terzo trimestre sono apparsi in calo a 2.235 milioni (-2,6% rispetto ai 2.294 milioni del trimestre precedente) rispetto a un dato sostanzialmente stabile sui nove mesi (6.771 milioni contro i 6.806 milioni dello stesso periodo del 2010), Corrado Passera, consigliere delegato del gruppo, può ribadire che anche la posizione di liquidità del gruppo “rimane forte e possiamo continuare a fornire sostegno all’economia, senza essere costretti al deleveraging”, ossia senza dover ridurre l’attività creditizia. Un segnale importante in un momento in cui le aziende e le famiglie italiane temono di doversi preparare a tirare la cinghia ancora una volta.

Ancora migliori i risultati di una banca “non sistemica” ma certamente importante come Banca Carige, che chiude i primi nove mesi dell’anno con risultati in crescita: gli impieghi alla clientela sono saliti a 27,1 miliardi di euro (+12,1% annuo; +6,7% nei nove mesi), la raccolta complessiva a 52,4 miliardi (+4,3% annuo; +3,4% nei nove mesi), mentre l’utile netto consolidato dei nove mesi è pari a 138,7 milioni di euro (+38,5% sui nove mesi 2010). Anche in questo caso il costante controllo della qualità del credito, sottolinea una nota, “ha consentito di mantenere il rapporto sofferenze/impieghi al 4,8%, inferiore al livello di sistema, e di contenere l’incremento annuo delle sofferenze (25,8%)”, mentre i coefficienti patrimoniali si mantengono “su livelli adeguati” ovvero pari per il Core Tier 1 ratio al 5,9%, per il Tier 1 ratio al 6,6% e per il Total Capital ratio al 9,0% . Se si aggiunge che l’integrale conversione del prestito “Banca Carige 4,75% 2010-2015 convertibile con facoltà di rimborso in azioni”, perfezionabile a partire dal mese di settembre, “determinerebbe l’aumento compreso tra un minimo di 120 e un massimo di 165 basis point” degli stessi indici anche la banca ligure può guardare con un minimo di fiducia ai prossimi mesi, per quanto il contesto “prevedibilmente si manterrà critico sia per l’economia reale, sia per i mercati finanziari”.

Le banche italiane, insomma, riescono per ora a mantenersi in una situazione relativamente tranquilla ed anche quelle più esposte, come UniCredit (che per l’Eba, ossia l’autorità bancaria europea, necessiterebbe di nuovi capitali per circa 7,4 miliardi di euro in base ai conti di fine giugno), vedono giungere dai propri azionisti segnali incoraggianti (secondo il Sole24Ore, che peraltro non cita la fonte, Fondazione Cariverona, azionista al 4% della banca, sarebbe pronta a sottoscrivere pro quota il futuro aumento, mentre Fondazione CRT potrebbe salire dall’attuale 3% al 4%) dopo le voci che indicavano un possibile interesse dei fondi sovrani della Cina e del Qatar a rilevare l’eventuale inoptato da parte dei soci libici (la cui quota è pari nel complesso al 7,5% del capitale di UniCredit). Per tranquillizzare i mercati e far calare nuovamente i tassi sui titoli di stato (alleviando così il peso del debito pubblico tricolore, ma anche dei finanziamenti per imprese e famiglie italiane) servirebbe giusto un governo che traghetti il paese verso acque più sicure, anche a costo di qualche sacrificio e di scontentare qualche lobbies e clientela. Arriverà?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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