Il premier inglese, David Cameron, ce l’ha fatta: la prossima settimana dovrebbe infatti tenersi una riunione straordinaria dei ministri delle Finanze Ue chiesta con urgenza da Cameron nel corso dell’odierno incontro a Bruxelles del Consiglio europeo. Oggetto della riunione: il ricalcolo dei contributi pagati tra il 1995 e il 2013 in conseguenza dell’adozione dei nuovi criteri Eurostat (“Sec2010”) che ha comportato nei mesi scorsi il ricalcolo del Prodotto interno lordo dei singoli paesi membri dell’Unione. Una notizia, quella del ricalcolo del Pil, che in Italia aveva suscitato polemiche e qualche velato sorriso, dato che ora nel calcolo dell’indicatore macroeconomico sono entrate (appunto con effetto retroattivo dal 1995 a oggi) una parte di attività “sommerse” o illegali come lo spaccio di sostanze stupefacenti, la prostituzione e il contrabbando.
Attività di fatto solo stimate e su cui certo gli stati non possono sperare di far pagare facilmente le tasse (se non a seguito di una serie di legalizzazioni ed emersione delle attività fno a quel momento "sommerse"), ma che gonfiando il Pil di alcuni stati (come l'Italia, che per questo aveva visto calare, sia pure solo contabilmente, il peso del debito pubblico sul Pil medesimo) più che di altri ha portato gli eurocrati a chiedere ad alcuni paesi di versare, pronta cassa, entro il primo dicembre una serie di importi a compensazione dei presunti troppo modesti versamenti effettuati in questi anni, soldi che verrebbero girati a quegli stati che, in proporzione, avrebbero versato più del dovuto. Fin qui niente di particolare, sembrerebbe una semplice storia di “lettura dei contatori” e relativi conguagli, salvo per il fatto che coinvolge direttamente gli stati europei.
Quello che ha fatto saltare dalla sedia Cameron, e non solo lui, è stato l’ammontare dei conguagli e la lista di coloro che dovrebbero pagare (e di coloro che dovrebbero ricevere indietro i soldi). Per la Gran Bretagna si tratterebbe di pagare 2,1 miliardi di euro, per l’Olanda 642 milioni, ma anche l’Italia si è vista presentare un “conto” da 430 milioni di maggiori contributi da saldare nel giro di poco più di un mese. Così pure le disastrate Grecia (89 milioni da versare nonostante il paese debba ancora uscire dalle procedure di aiuti internazionali) e di Cipro (da molti vista a rischio “uscita” dall’Eurozona ancora l’anno scorso e che dovrebbe versare 42 milioni di euro). Ma chi ci guadagnerebbe e quanto?
Sorpresa: la “povera” Germania avrebbe diritto a vedersi restituiti 780 milioni di euro di contributi “ingiustamente” versati all’odiosa (per il crescente partito degli euroscettici di Berlino) Unione europea, ossia ai “porcellini” del Sud Europa che agli occhi dei tedeschi continuano a chiedere aiuti ed eccezioni alle regole finora fatte teutonicamente rispettare, costi quel che costi (a Spagna, Portogallo, Grecia e Italia). Curiosamente, ma forse non troppo, pure la Francia, che di recente, sarà un caso, sembra aver ritrovato un feeling con Berlino dopo aver annunciato che non osserverà le regole che le imporrebbero il pareggio di bilancio entro il 2017 (pareggio che invece slitterà al 2019), dovrebbe ricevere un corposo rimborso: un miliardo di euro tondi, il che di questi tempi “scia veghèn” come dicono a Milano. Completano l’elenco dei “virtuosi” che dovrebbero godere dei rimborsi Danimarca (oltre 321 milioni), Polonia (quasi 317 milioni di rimborsi) e Austria (294 milioni abbondanti) ed anche in questo caso sembra difficile non notare che almeno in due casi (Polonia e Austria) si tratta di paesi dove gli interessi tedeschi sono forti e ramificati da tempo.
Ogni dietrologia è del tutto arbitraria, naturalmente, ma se Cameron è giunto a esclamare, come ha ripreso subito la stampa di tutto il mondo, compreso il New York Times, nonostante le smentite di Angela Merkel (secondo cui Cameron avrebbe solo contestato la data di pagamento, non il pagamento stesso), che “se questa gente (riferito ai burocrati europei) pensa che pagherò il primo dicembre, ebbene non accadrà” non si può dare torto al premier italiano Matteo Renzi se prova a sfruttare l’occasione per far fronte comune e rispedire al mittente l’ennesima richiesta europea vissuta come una vessazione dai contribuenti dei paesi “non virtuosi” (sulla virtù dei singoli paesi occorrerebbe poi accordarsi perché il rischio di abbagli è elevato, ma questo è altro discorso). Di fatto la decisione non potrà che essere politica, checché ne dica il presidente uscente della Commissione Ue, Jose Barroso, che peraltro pare voler sfruttare gli ultimi riflettori europei per rilanciare la propria carriera politica in patria e non solo.
Sarà pertanto interessante vede domenica mattina cosa annuncerà la Banca centrale europea rendendo noti i risultati degli stress test cui ha sottoposto le maggiori 131 banche europee. Se le 15 banche italiane passeranno tutte l’esame qualcuno a Berlino potrebbe storcere il naso (al momento i nomi più a rischio sembrano quelli di Mps, Banca Carige e forse Bpm), se rimandate a settembre fossero solo gli istituti dei “porcellini” del Sud Europa potrebbero esserci ugualmente dei contraccolpi politici, specie ad Atene. Per Renzi, che finora si è mosso in modo molto incerto denotando tutta la propria inesperienza in campo internazionale, potrebbe essere nuovamente l’occasione per scaldare i muscoli contro gli eurocrati “senza cuore”. Sarebbe tuttavia meglio che il nostro premier facesse meno affidamento alla retorica elettorale, buona forse in casa ma incapace di spostare di un millimetro le posizioni di politici navigati come la Merkel o lo stesso Hollande, e cercasse di proporre una seria mediazione, sulla base non di slide e tabelline colorate ma di numeri credibili. Anche (o forse solo) così l’Italia può sperare di riconquistare lo spazio che le compete in ambito comunitario cui da un almeno un quindicennio ha gradualmente rinunciato.