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Italia che cambia: molte ombre e qualche luce

Lo scenario macro continua a offrire segnali sconfortanti, ma qualche luce inizia a emergere a livelo di singole aziende, sia come risultati sia come nuova attitudine a fare il proprio mestiere al meglio. Speriamo…
A cura di Luca Spoldi
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Luci ed ombre per l’economia italiana: se a livello macroeconomico l’Istat stamane ha certificato l’ennesima delusione in ambito produttivo, col dato dell’indice destagionalizzato della produzione industriale che lo scorso novembre appare essere calato dell’1,0% rispetto ad ottobre (mentre gli analisti si attendevano in media un più contenuto -0,2%), appena meglio della media del trimestre settembre-novembre (-1,7% rispetto al trimestre immediatamente precedente) ma ancora troppo poco per dire che la crisi (che ha portato nell’ultimo anno la produzione industriale, tenuto conto degli effetti di calendario, a calare del 7,6% (contro attese di mercato attorno a -6%), a livello microeconomico qualcosa sembra stia lentamente cambiando anche nei “templi” del capitalismo familiare italiano.

Un capitalismo straccione che da un ventennio non riesce più a crescere, complice anche un fisco sempre più pesante, una burocrazia opprimente e una cultura che resta favorevole solo a parole all’innovazione, ma nei fatti il più delle volte la teme, e che anzi si arrocca sempre più su posizioni ultracorporative che finiscono con lo spaccare il paese trasversalmente, per censo, attività, distribuzione geografica e demografica. Un rischio che, per inciso, continua a correre l’Europa se non si doterà quanto prima di istituzioni realmente unitarie anche in campo politico ed economico oltre che monetario, con graduale “cessione di sovranità” dai singoli apparati statali nazionali a enti sovranazionali compartecipati da tutti i membri dell’Eurozona (e più in là dell’intera Ue-27). Cosa che non sarebbe male, visto che, al di là della retorica tedesca, l’attuale crisi grava più sulle nostre spalle che su quelle di Berlino, come ha testimoniato ancora stamane Bankitalia segnalando come nei primi undici mesi il debito pubblico (arrivato a quota 2.020,668 miliardi di euro) sia cresciuto di 23 miliardi per gli aiuti erogati (attraverso i meccanismi europei cui l’Italia partecipa) ai paesi in difficoltà.

Cosa sta cambiando nel nostro capitalismo sempre più debole e sempre meno in grado di offrire prospettive di lavoro e di crescita professionale ai cittadini e contribuenti italiani? Per esempio che nella vicenda Unipol-FonSai, un tempo destinata a finire rapidamente dimenticata per gli “interessi superiori” della nazione, ovvero di alcuni singoli gruppi di potere, si vanno profilando ulteriori indagini e ipotesi di reato per i vecchi proprietari, i Ligresti, che potrebbero essere accusati non solo di falso in bilancio ma anche di infedeltà patrimoniale (anche se, servendo in questo caso una querela di parte, perché l’ipotesi di ulteriori indagini si concretizzi sarà necessario l’intervento di qualche socio che non abbia digerito la perdita del 95% di valore dei titoli dell’ex galassia Ligresti negli ultimi 10 anni in borsa). Due in particolare le ipotesi attorno a cui, segnala Marco Ferrando sul Sole24Ore, sarebbero al lavoro gli uomini della Procura di Torino: operazioni immobiliari che sarebbero avvenute con altre società riconducibili ai Ligresti e un alleggerimento delle riserve sinistri.

Sempre in ambito assicurativo e sempre dentro la “galassia Mediobanca”, un’altra piccola-grande rivoluzione si sta consumando in Generali, dove il neo amministratore delegato Mario Greco, chiusa la pratica Ppf, ha promesso stamane presentando il nuovo piano industriale della compagnia una “rivoluzione in disciplina, semplicità e focus per migliorare il ritorno agli azionisti”. Una rivoluzione che mira a ristabilire “una solida posizione patrimoniale e di cash flow”, adottando un “approccio disciplinato negli investimenti” (e pertanto per ora escludendo ulteriori acquisizioni in Est Europa, dove il gruppo punterà sulla crescita organica, mentre qualche mossa più decisa potrebbe essere messa in conto in Asia, con l’America Latina che resta monitorata senza che per ora si siano prese decisioni specifiche, in particolare per il Brasile). Non solo: il “leone” dovrà tagliare di ulteriori 600 milioni di euro i costi entro il 2015, raggiungere un Roe operativo al 13% a regime (pari a un risultato operativo superiore ai 5 miliardi di euro) ed un indice Solvency I superiore al 160% entro il 2015, mentre il cash flow è visto oltre i 2 miliardi di euro entro il 2015.

Il tutto rifocalizzando il grupposul core business assicurativo attraverso un’ottimizzazione della presenza geografica, sulla crescita nel Danni e su una maggiore profittabilità nel Vita”. Sembrerebbe banale visto che stiamo parlando della maggiore società assicurativa italiana, ma siccome Generali, da sempre nell’orbita di Mediobanca, ha partecipazioni “non strategiche” ma finora intoccabili (come ha scoperto a proprie spese il predecessore di Mario Greco, Giovanni Perissinotto) in Rcs Mediagroup, Pirelli & C., Gemina (che potrebbe finire fusa con Atlantia, entrambe essendo controllate dal gruppo Benetton) e soprattutto Telecom Italia (che in questi giorni guarda a Bruxelles per una possibile revisione delle norme di settore che consentano una maggiore integrazione tra i grandi operatori telefonici europei, ad esempio mettendo in comune le rispettive reti per far nascere un’infrastruttura europea suddividendo investimenti e relativi oneri e spartendosi poi i ricavi), il tema non è così banale e va ben oltre la definitiva dismissione di attività minori come la controllata Banca svizzera italiana (Bsi) e le attività riassicurative negli Usa (operazioni che per Greco non dovrebbero subire particolari ritardi o sorprese negative).

Piccoli segnali, nel mezzo di una crisi “disruptive” che sta cambiando i connotati a tutta l’economia europea e che, volenti o nolenti, li cambierà anche al sistema produttivo italiano. Un sistema che pure è in grado di produrre eccellenze apprezzate da mercati e investitori, che si chiamino Brunello Cucinelli (passato dai 7,75 euro del prezzo di collocamento di fine aprile 2012 agli attuali 14,55 euro, mentre il conto economico vedeva l’utile netto normalizzato salire nei primi nove mesi del 2012 del 25,3% a 21,3 milioni di euro, l’indebitamento finanziario calare a 14,4 milioni dai 59,6 milioni di un anno prima e la rete di negozi monomarca salire in tutto il mondo a 74 vetrine dalle 58 di fine settembre 2011) o Lamborghini (da tempo controllata dal gruppo Volkswagen-Audi, che l’anno scorso ha messo le mani anche su Ducati proprio attraverso Lamborghini), che ha chiuso il 2012 con un aumento delle consegne del  30% (da 1.602 a 2.083 vetture, grazie in particolare al successo della Aventador LP 700-4, di cui sono state consegnati 922 esemplari).

Un sistema che dovrà in tutti i modi riuscire a rinnovarsi e a trovare nuovi mercati sia in Italia sia soprattutto in Europa e al di fuori di essa, sostenuto da banche che a loro volta dovranno cambiare (e stanno faticosamente iniziando a farlo). O  il problema maggiore non sarà la difficoltà con cui si ottiene un mutuo da un istituto per comprarsi casa, sarà avere un lavoro con cui, eventualmente, ripagare il mutuo stesso o potersi permettere consumi di qualità superiore a quelli di mera sussistenza.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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