Non c’è due senza tre e infatti anche ieri Italgas ha perso terreno a Piazza Affari. Da lunedì, giorno del debutto dopo lo scorporo da Snai (con un prezzo ex scorporo calcolato da Borsa Italiana in 3,998 euro per azione), avvenuto senza particolari fuochi d’artificio, Italgas ha inanellato tre sedute consecutive di forte ribasso ed ha visto il prezzo calare a 3,32 euro, con una perdita complessiva che sfiora il 17%.
Non è andata troppo bene neppure all’ex controllante Snam (rimasta azionista di Italgas con una quota del 13,5%), che dai 4,58 euro di venerdì (ricalcolati in 3,78 euro per tener conto dello scorporo ed assegnazione di un’azione Italgas ogni 5 titoli Snam posseduti) con la chiusura di 3,564 euro di stasera ha lasciato sul terreno il 5,7%.
A perderci ancora una volta, oltre ai piccoli azionisti, è Cassa depositi e prestiti, che dovrebbe per statuto gestire il risparmio postale italiano ma che da qualche anno agisce come una sorta di “fondo sovrano” o, secondo un altro punto di vista, da “nuova Iri” attraverso la quale il Tesoro italiano (che la controlla all’82,77%) pur spogliandosi formalmente del controllo di società fino a quel momento a partecipazione pubblica, continua di fatto a rimanere l’azionista di riferimento.
E' quello che è successo nel caso di Italgas (partecipata al 25,08%), ma anche Snam (28,98%), Terna (29,85%), Saipem (12,5%), Ansaldo Energia (44,84% dopo la cessione di un 40% a Shanghai Electric Corporation), Metroweb (46,2%) e Sia (49,5%), solo per citare le più note.
Certo, la bontà degli investimenti di Cdp si vedrà a medio-lungo termine e certo, alcuni precedenti come la dismissione di uno 0,4% di Hera, piuttosto che del 4,48% di Generali conferito da Banca d’Italia in cambio del 20% di Cdp Equity (la nuova denominazione che ha assunto dal 31 marzo scorso l’ex Fondo Strategico Italiano), o del 40% di Ansaldo Energia lasciano ben sperare.
Ma altri precedenti come quello di Saipem (dove sono stati investiti 903 milioni di euro, a fronte di una capitalizzazione crollata a poco più di un miliardo attualmente che ha abbattuto a meno di 130 milioni il valore della quota detenuta) hanno lasciato perplessi più di un commentatore.
Se si pensa poi che Poste Italiane ha investito 150 milioni in Cai, che controlla il 51% di Alitalia (l’altro 49% essendo in mano al socio industriale Ethiad), che ancora nel primo semestre dell’anno ha continuato a perdere mediamente 500 mila euro al giorno e ha visto slittare al 2017 le attese per il raggiungimento del pareggio, qualche dubbio sulla bontà delle “privatizzazioni” all’italiana è legittimo, quanto meno a livello di “timing”.
Nel caso di Italgas, ad esempio, decidere di scorporare e quotare il business del trasporto gas nel momento in cui si stanno aprendo le gare per il rinnovo delle concessioni in tutti gli Atem (ambiti territoriali minimi) in cui è divisa l’Italia se da un lato poteva garantire interesse in vista di una ulteriore crescita della già elevata quota di mercato della società (dall’attuale 33,9% la società punta a salire nei prossimi anni al 40%), dall’altro sottopone il titolo al rischio di delusioni nel caso alcune gare vengano perse.
Che dire poi della scelta di andare sul mercato pochi giorni prima delle elezioni presidenziali americane? E' come se Mps o Unicredit avessero deciso di varare il proprio aumento di capitale a fine novembre, per chiuderlo prima del referendum del 4 dicembre scaricando sui sottoscrittori il rischio di successivi cali delle quotazioni legate al fattore politico.
Italgas, dopo la vittoria di Trump (e la “non caduta” per ora dei mercati), sconta il rischio che la Federal Reserve guidata da Janet Yellen (il cui mandato scadrà il 3 febbraio 2018) possa decidere, per prevenire un rialzo troppo accentuato dell’inflazione a seguito dei programmi di spesa pubblica già tratteggiati dal presidente eletto, di accelerare il passo nel processo di normalizzazione dei tassi ufficiali statunitensi, facendo seguire al già atteso rialzo di un quarto di punto di dicembre altri 3 o 4 rialzi nel corso del 2017 (contro gli 1-2 finora scontati dai mercati).
Ma per i titoli dei servizi di pubblica utilità (non solo Italags, ma anche Atlantia o Sias, piuttosto che Acea) un rialzo dei tassi è decisamente nocivo, perché porta a maggiori oneri sul debito, così gli investitori alleggeriscono la propria esposizione verso il settore e chi ha creduto nel titolo vede scendere il valore che il mercato assegna alla società. Non certo il modo migliore di inaugurare il proprio ritorno sul listino azionario italiano.