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Istat: l’Italia sempre più “vecchia”, giovani in casa con i genitori e in cerca di lavoro

Nel suo Rapporto annuale 2016, l’Istituto di statistica fotografa il nostro Paese: l’aumento dell’occupazione si limita agli ultracinquantenni, per i trentenni lavori precari e non coincidenti con il titolo di studio. Crescono le disuguaglianze e le famiglie in povertà.
A cura di Claudia Torrisi
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allarme lavoro si fa sempre piu stringente per i giovani e le donne

Riprende il Pil, crescono i consumi delle famiglie e gli investimenti, manca il lavoro, la popolazione invecchia. Come ogni anno l'Istat con il suo Rapporto annuale 2016 traccia la fotografia dell'Italia. Un'analisi che attraversa diverse generazioni: dai giovani agli adulti, agli anziani, ai figli del Boom economico, ai millennials. Dopo una recessione "lunga e profonda, senza piu' termini di paragone nella storia in cui l'Istat e' stato testimone in questi 90 anni", l'Italia sperimenta "un primo, importante, momento di crescita persistente anche se a bassa intensità", ha detto il presidente dell'Istituto Giorgio. "Rispetto ai precedenti episodi di espansione ciclica – ha aggiunto – la ripresa produttiva appare caratterizzata da una maggiore fragilità". Il Rapporto di quest'anno arriva al compimento dei 90 anni dell'Istat. Per questo motivo, l'Isituto ne ha approfittato per fare una sorta di excursus della storia d'Italia dal 1926 a oggi, seguendo tre donne – Maria, Anna e Francesca – in rappresentanza di altrettante generazioni.

Il mercato del lavoro

Secondo il Rapporto Istat, nel 2016 l'andamento dei prezzi "appare ancora molto debole" e quello del mercato del lavoro "è incerto". Per questo motivo è "plausibile", per il primo semestre, il succedersi di periodi di debole crescita tendenziale dei prezzi e di episodi deflazionistici. La ripresa dei consumi è infatti ancora insufficiente a bilanciare il calo dei prezzi energetici. Allo stesso tempo, il mercato del lavoro nei primi tre mesi 2016 mostra una sostanziale stabilità degli occupati. L'Istituto prevede, comunque, "un miglioramento piuttosto modesto del grado di utilizzo dell'offerta di lavoro" nei prossimi anni. Nel 2025, ad esempio, il tasso di occupazione potrebbe restare "prossimo a quello del 2010, a meno che non intervengano politiche di sostegno alla domanda di beni e servizi e un ampliamento della base produttiva".

L’anno scorso gli occupati sono cresciuti di 186mila, pari allo 0,8%. I posti a tempo indeterminato di 102mila. Gli sgravi per i contratti hanno rappresentato "la principale variabile a sostegno dell'occupazione complessiva dell'impresa, determinando un aumento medio degli occupati del 18%, superiore al contributo della produttività (+12%) e di un elevato livello degli ordini e della domanda (+8,1%)". Meno della metà delle imprese ha invece usato il contratto a tempo determinato, una su quattro ha fatto ricorso al lavoro accessorio o ai voucher. Gli occupati, comunque, crescono soprattutto nella fascia di età 50-64 anni (più 1,5% rispetto al 2014 e più 9,2% rispetto al 2008). Non si tratta quindi di un vero aumento, quanto di una maggiore permanenza, dovuta alle riforme previdenziali. Mentre il tasso di disoccupazione dei giovani rimane particolarmente basso, al 39,2% contro il 50,3% del 2008.

Povertà

Secondo l'Istat, ‘Italia ha avuto un incremento record della disuguaglianza, passata dallo 0,40 del 1990 allo 0,51 del 2010. Disuguaglianze che dipendono dalle condizioni di "partenza": l'Italia, infatti, è tra i Paesi dove è maggiore infatti il vantaggio degli individui con status di partenza "alto" (che a 14 anni vivevano in una casa di proprietà e che avevano almeno un genitore laureato e con professione manageriale).  Ci sono invece sempre più minori a rischio di povertà perché i genitori sono disoccupati o hanno uno stipendio basso. Per cui per i minori l'incidenza della povertà relativa è salita dall'11,7% al 19% tra il 1997 e il 2014, mentre per gli anziani si è dimezzata nello stesso periodo, passando dal 16,1 al 9,8%.

Dal Rapporto emerge anche che nel nostro Paese 2,2 milioni di famiglie vivono senza redditi da lavoro. Dal 9,4% del 2004 si è passati al 14,2% dell'anno scorso. Nel Mezzogiorno la percentuale dei nuclei raggiunge il 24,5%, quasi uno su quattro. La quota scende all'8,2% al Nord e al 11,5% al Centro. L'incremento ha riguardato le famiglie giovani rispetto alle adulte: tra le prime l'incidenza è raddoppiata dal 6,7% al 13%, tra le seconde è passata dal 12,7% al 15,1%. In molte famiglie, tra l'altro, a lavorare è solo la donna: dal 7,2% del 2004 si è passati nel 2015 al 10,7%. Un numero in aumento. Diminuiscono invece le famiglie con più di un occupato (da 55,1% a 50,0%). Aumentano inoltre le famiglie dove l'unico reddito proviene da un lavoro atipico che passano dall'8,3% al 10,8%.

I giovani

Rispetto a una ventina di anni fa sono quasi raddoppiati i giovani che a tre anni dalla laurea non cercano lavoro: nel 1991 i laureati occupati erano il 77,1%, il 72% nel 2015, anno in cui non cercano lavoro circa il 12,5% dei giovani laureati, quasi il doppio di quelli del 1991 (6,6%). Molti di loro proseguono gli studi: nel 2015, infatti, il 78,7% di coloro che dichiarano di non cercare lavoro risultano impegnati in dottorati, master, stage o ulteriori corsi di laurea; nel 1991 la stessa quota era pari a 59,7%.

A trovare lavoro più facilmente sono, ancora una volta, i laureati in facoltà scientifiche: l'aver conseguito una laurea dei gruppi ingegneristico, scientifico e chimico-farmaceutico si associa a probabilità di occupazione di gran lunga superiori a quelle registrate dai laureati del gruppo letterario. I vantaggi, però, si sono ridotti dal 1991 a oggi. L'aver completato il corso di studi con un voto finale alto è quasi sempre un fattore di vantaggio, e ancora di più lo è lo svolgimento di lavori già durante il percorso di studi, aumentando la probabilità di occupazione di circa due volte. La partecipazione a programmi come Erasmus, che ha interessato il 9,1% dei laureati nel 2007 e il 13,6% di quelli nel 2015, si associa a maggiori opportunità di trovare un lavoro ottimale.

Il Rapporto evidenzia poi che nel 2014 più di 6 giovani su 10 (62,5%) tra i 18 e i 34 anni hanno vissuto ancora a casa con i genitori. Nel 68% dei casi si trattava di ragazzi e nel 57% di ragazze. Nel contesto europeo l'Italia si schiera quindi in pieno con le medie dei paesi mediterranei ("dove i legami sono ‘forti'"). La media Ue è invece del 48,1%. Il divario temporale tra il distacco dalla casa dei genitori e la prima unione (quasi sempre il primo matrimonio) è aumentato nel corso delle generazioni: la media del primo matrimonio delle donne è stata, nel 2014, di 30 anni e 7 mesi. Inoltre, la famiglia tradizionale – coppia coniugata con due figli – non è più  il modello dominante e rappresenta meno di un terzo dei nuclei familiari (33%). Le nuove forme di famiglie sono raddoppiate: quelle unipersonali di giovani e adulti non vedovi, le libere unioni.

L'Italia che "invecchia"

Al 1 gennaio 2016 la stima della popolazione è di di 60,7 milioni di residenti(-139 mila sull'anno precedente) mentre gli over 64 sono 161, uno ogni 100 giovani con meno di 15 anni. L'Italia è tra i paesi più invecchiati al mondo, insieme a Giappone e Germania. Nel 2015 le nascite sono state 488 mila, 15 mila in meno rispetto al 2014 e minimo storico dall'Unità d'Italia. Se nel periodo del baby boom (dal 1946 al 1965),  il numero medio di figli per donna arrivò all'apice di 2,7, oggi la media è di solo 1,35 figli per donna.

Per l'Istat, l'andamento demografico dell'Italia negli ultimi 90 anni ha avuto un andamento altalenante: accelerato tra il 1926 e il 1952, grazie alla forte riduzione della mortalità e alla natalità ancora molto elevata, per poi attenuarsi a metà degli anni Settanta. Dagli anni 2000 la popolazione cresce in modo più sostenuto ma solo grazie ai flussi migratori dall'estero che si fanno sempre più consistenti. Al primo gennaio 2016 i cittadini italiani residenti sono 55,6 milioni, i cittadini stranieri 5,54 milioni (8,3% della popolazione totale). E crollano i giovani: Attualmente meno del 25% della popolazione italiana ha un'età compresa tra 0 e 24anni, una quota che si è dimezzata dal 1926 ad oggi, una delle percentuali più basse in Europa.

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