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Opinioni

In Italia le donne lavorano gratis fino al 7 febbraio

Meno assunte e meno pagate nonostante siano più istruite e abbiano voti più alti dei colleghi uomini, anche nelle discipline STEM da cui però si autoescludono perché vittime di stereotipi. Abbiamo analizzato i dati dei più importanti osservatori italiani, europei e mondiali (anche perché i dati dell’Italia sono stati giudicati “poco trasparenti” dall’Ue) e questo è lo stato dell’arte in Italia, Anno Domini 2020.
A cura di Stela Xhunga
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Rispetto a un collega uomo, in Italia una donna percepisce in media una mensilità e mezza in meno pur svolgendo le stesse ore di lavoro. Quinto obiettivo da raggiungere entro il 2030 per lo Sviluppo Sostenibile promosso dall’ONU e perseguito dall’Unione Europea nel quinquennio 2016-2019 poi rinnovato per il 2020-2025, la parità di genere in Italia rimane un miraggio, soprattutto nel lavoro.

Abbiamo incrociato i dati di due importanti osservatori, uno italiano, il JobPricing, che ha da poco pubblicato un report in collaborazione con Spring Professional e IDEM – Mind The Gap, e uno globale, il World Economic Forum (WEF), con il consueto Global Gender Gap Report: questo lo stato dell’arte nel 2020 in Italia.

Poche dirigenti donne e con stipendi più bassi

Le donne sono una minoranza tra i dirigenti e i quadri soprattutto nel privato. Un paradosso, considerato che la carriera dirigenziale e più remunerativa è associata a un maggiore livello di istruzione e che le donne sono più istruite e con voti migliori in Italia.

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A dare il polso della situazione è però la netta disuguaglianza salariale che – a parità di ruolo e ore svolte – discrimina le lavoratrici in Italia. JobPricing ha raccolto le relazioni obbligatorie sulle remunerazioni fornite dalle società per l'anno 2020. Facendo una media, è come se una donna cominciasse a lavorare il 7 febbraio e percepisse quasi una mensilità e mezzo in meno rispetto a un uomo. 

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Scienze, matematica e tecnologia non fanno per le donne? 

Le laureate sono maggiormente concentrate nelle discipline umanistiche, in particolare i corsi di insegnamento, lingue e psicologia vedono le donne iscritte per oltre l’80%. Pari presenze, invece, negli studi di agraria e veterinaria, mentre si avvicinano a un equilibrio gli studi di medicina, architettura ed economia e statistica.

Le discipline STEM (dall’inglese Science, technology, engineering, and mathematics) rimangono appannaggio degli uomini (presenti fra il 60% e l’80%) eppure, nonostante siano in minoranza, le donne ottengono voti più alti degli uomini.

Ricapitolando: in rapporto alla popolazione, le donne sono più istruite degli uomini su tutti i livelli, inoltre, a parità di corsi di istruzione, ottengono voti più alti non solo a livello medio ma in quasi tutte le aree disciplinari, ad eccezione dell’ambito letterario, con -0.6 punti rispetto agli uomini. Ciò significa che in un mondo sempre più digitalizzato, che richiede sempre più informatici e figure STEM, le donne tendono ad autoescludersi nonostante in tali ambiti risultino più brave, e "si accontentano" dei percorsi umanistici, dove, contrariamente ai falsi stereotipi, in alcune discipline sono più bravi gli uomini.

Madri, laureate over 55 e non laureate le categorie più discriminate

Nel 2020 l’occupazione femminile si attesta al 49%, circa 17 punti in meno di quella maschile. Tra gli occupati, il tasso di part-time è di circa il 34% per le donne mentre per gli uomini si ferma al 9%. Se scorporiamo i dati, vediamo come l’occupazione tra i non laureati sia maggiore tra gli uomini mentre quella tra i laureati sia maggiore tra le donne, numericamente già istruite e con voti mediamente più alti degli uomini.

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Le più danneggiate dal mercato del lavoro, osserva JobPricing, sono le non laureate, le laureate over 55 e le lavoratrici madri. Tra i fattori c’è molto spesso un’offerta salariale inferiore al cosiddetto "salario di riserva", cioè il livello di salario al di sotto del quale l’individuo non ritiene conveniente lavorare. Scelta, questa, dietro la quale c’è spesso l’onere di doversi occupare in prima persona dei figli e dei familiari anziani. L’Italia è il 5° tra i paesi OECD per gap di tempo dedicato alla cura non retribuito: le donne spendono in media 5 ore al giorno in lavori di cura mentre gli uomini non arrivano a 2,5.

Il lavoro è la cartina tornasole di tutte le disparità

Partendo  dall'assunto che la parità di genere sia il risultato della parità raggiunta in diverse dimensioni della vita umana (istruzione, salute, partecipazione e opportunità economiche e partecipazione politica), JobPricing ha messo nero su bianco i dati forniti dall'European Institute for Gender Equality (EIGE). Quasi tutti gli indici italiani sono nettamente inferiori agli standard globali. 

Si ringrazia JobPricing per i grafici
Si ringrazia JobPricing per i grafici

Non a caso l'WEF ha calcolato che l'Italia, pur facendo parte dei Paesi UE, i più virtuosi al mondo in fatto di parità di genere, è tra i peggiori dell'Ue e si colloca al di sotto degli UE 27 (senza UK) e UE 28.

L'UE striglia l’Italia per i dati forniti sulla disparità di genere

I dati sono negativi non soltanto rapportati alle stime nazionali, ma anche globali. Stando al World Economic Forum (WEF), a pesare negativamente è soprattutto la disuguaglianza salariale tra uomo e donna nei lavori uguali o assimilabili: 53,3% in Italia contro il 62,8% nel mondo.

Quest’anno il Governo Draghi ha approvato una Strategia Nazionale della durata di cinque anni. Un’azione resasi necessaria dopo che il Comitato europeo per i diritti sociali (Ecsr) aveva denunciato l’Italia non tanto per le reali discriminazioni lavorative a danno delle donne ma per i "dati non trasparenti, inaffidabili e in aperta violazione dell’Articolo 4, sezione 3, e dell’Articolo 20, comma c, della Carta sociale europea" forniti dal nostro Paese. In sostanza, tutto da rifare.

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