La Berlusconomics sta franando: caduto il governo del “cavaliere” per manifesta incapacità nell’affrontare una crisi per anni negata e poi tenuta a distanza dai sorrisi d’ordinanza, dall’ottimismo di facciata e dal mantra “noi siamo migliori e ne usciremo prima e meglio degli altri” (cosa in realtà difficile da sostenere con un debito/Pil pari a 1,2 ovverosia attorno ai 1.900 miliardi di euro di debito pubblico, di cui quasi 400 miliardi andranno rinnovati nel corso del 2012, e con banche e aziende sovente sottocapitalizzate o di dimensioni modeste rispetto ai concorrenti internazionali) non passa giorno che non giungano conferme del fatto che l’Italia sta svegliandosi da un sogno (o incubo a seconda dei gusti) durato un ventennio. Scoprendosi decisamente meno solida di come si era illusa di essere ma forse anche più competente e meno cafona e quindi in grado di rimboccarsi le maniche e risalire al china.
In campo più propriamente economico i “Berluscones” sembrano stare smobilitando: ai problemi dei Ligresti (proprietari attraverso Sinergia di Premafin e con questi del gruppo Fondiaria-Sai e della controllata Milano Assicurazioni), da sempre “vicini” al premier e fino a poco tempo fa sistematicamente assistiti dai santuari della finanza tricolore, fossero Mediobanca o UniCredit (la prima ormai esposta per un miliardo, la seconda entrata come socia nel marzo 2011 pagando 337 milioni di euro, di cui 170 milioni per la sola quota in Fondiaria-Sai, quota che ormai vale meno di 20 milioni di euro), quegli stessi che ora chiedono formalmente che i Ligresti trovino nuovi sostanziosi capitali con cui irrobustire il patrimonio (e rimborsare parte dei debiti) o si facciano da parte, fanno eco le voci di nuove trattative tra i “patrioti” di Cai (che su invito del premier “salvarono” Alitalia fondendola con l’Air One, nei cui confronti era pesantemente esposta Intesa Sanpaolo) e Air France, cui non si volle all’epoca cedere formalmente il controllo dell’ex compagnia di bandiera ma che da subito è stata ritenuta “l’acquirente di ultima istanza” cui i soci di Cai si sarebbero rivolti per liberarsi quanto prima del proprio “fardello”. Peccato che nel frattempo anche Air France abbia i propri guai e non sembri entusiasta di rilevare per cassa le quote dei “patrioti” e piuttosto proponga, secondo indiscrezioni, un concambio con azioni proprie.
Che dire poi in ambito televisivo e cinematografico: mentre Mediaset, tramontata l’ipotesi di una “grande fusione” con Telecom Italia subisce continue bocciature da parte degli analisti sempre più scettici rispetto alla capacità del gruppo di adeguare il proprio business model ad un mondo che cambia alla velocità della luce nel quale la raccolta si sposta dai vecchi media generalisti ai nuovi media come Facebook o Twitter oltre che sul web in genere, nelle sale cinematografiche i “cinepanettoni” italiani che per anni hanno incarnato nell’immaginario collettivo il sogno del successo in salsa berlusconiana sembrano non fare più breccia tra gli spettatori e partono con incassi molto deboli, anche se sotto Natale è prevedibile un rigurgito “nazional-popolare”.
Spiega bene il terremoto in corso non un economista ma un esperto di comunicazione come Carlo Freccero, attuale direttore di Rai4 dopo precedenti incarichi in Mediaset e Rai e ritenuto uno dei maggiori esperti italiani e mondiali di televisione e comunicazioni di massa, che in un’intervista a Il Fatto sostiene stiamo registrando un “cambiamento d’agenda” in cui al governo Berlusconi che mirava, nelle intenzioni, a “comprendere tutti gli italiani nel suo racconto” (un racconto che era costruito come la televisione commerciale di Berlusconi, dunque divertente, colorato, immaginifico, ottimista e in sostanza rassicurante e buono per tutti i gusti), si è sostituito un governo di tecnici che “rientra nei ranghi della modernità e restituisce al potere il suo legame con il sapere”. Insomma: “le figurine del calciatore, della escort, della velina e del cantante sono sostituite dal lavoratore e dal cassintegrato, proprio perché il lavoro manca”, all’entertainment e all’infotainment si sostituisce (forse) la sobrietà, la competenza e la cultura.
La festa è finita e non c’è più tempo né voglia di scherzare, la Berlusconomics vede franare le sue stessa fondamenta, la fiducia incondizionata nel futuro, la voglia di spendere, di consumare, di dare ascolto alla pubblicità e di ignorare i segnali di pericolo perché tanto qualcuno li risolverà per noi. Anche gli investitori lo hanno capito e infatti da settimane guardano più che all’andamento delle singole trimestrali di questa o quell’azienda al merito di credito sovrano, all’andamento degli spread, alle risposte che il sistema-paese in Italia come in Grecia si dimostra (o meno) in grado di dare. Per questo occorrerà che dopo la manovra “salva Italia” il governo Monti vari riforme strutturali in grado di rilanciare l’economia italiana, sperabilmente non limitandosi a ridurre la spesa per la previdenza o a tagliare il costo del lavoro (che pesa dal 5% al 10% degli oneri operativi totali) quanto semmai limando il cuneo fiscale e trovando il modo di incentivare gli investimenti privati, favorire il rilancio della produzione e l’allargamento del mercato del lavoro, rafforzando la competitività italiana in settori strategici ad elevato tasso di innovazione, variabile chiave se si vuole non dover sempre combattere battaglie di retroguardia in difesa di ciò che resta di un passato più o meno grande ma a vantaggio di un futuro possibilmente altrettanto importante e degno di essere vissuto da tutti gli italiani e non solo da alcuni di loro.