Il prezzo del grano sale alle stelle, gli effetti della crisi alimentare in Italia e Ue
La guerra in Ucraina sta causando una vera e propria crisi alimentare, con il prezzo del grano che continua a crescere, senza sosta. Kiev e Mosca, infatti, coprono da sole il 30% delle esportazioni di frumento e ora le catene di approvvigionamento sono fortemente ridotte dal conflitto in corso (nei silos ucraini sono bloccate 25 milioni di tonnellate di grano). Non solo, sabato l'India, per proteggere il suo mercato, ha bloccato le proprie esportazioni. Il problema si fa molto serio soprattutto in Africa, dove ci sono alcuni Paesi in cui l'import di grano arriva a superare il 90%, con il prezzo del pane già più che raddoppiato.
L'ultimo rialzo preoccupante è di ieri, quando il prezzo del grano duro è salito del 4,6% e quello del grano tenero del 5,48%. Un ulteriore rincaro che si somma agli aumenti iniziati a marzo, con un primo balzo del 40%, dovuto allo scoppiare della guerra. Ma non solo: già da un anno a questa parte il prezzo del grano era salito, a causa della ripresa della domanda dopo il Covid e della siccità di quest'estate in Paesi come il Canada, quarto grande esportatore di frumento.
Da qui il fatto che imprenditori e gli artigiani che lavorano cereali e farine vedono costi praticamente raddoppiati rispetto alla fine del 2020 e l'inizio del 2021. Oggi una tonnellata di grano duro supera i 500 euro, mentre una tonnellata di grano tenero per la panificazione è oltre i 400 euro. L'India è il secondo produttore di grano al mondo e la sua scelta rischia oggi di far collassare del tutto i rifornimenti alimentari in Africa e mettere in ginocchio anche l'Occidente. Nuova Delhi ha preso la decisione dopo la pubblicazione dei dati sull'inflazione annuale, salita all’8,38%. Ma non solo: in questi giorni è stata colpita da un'anomala ondata di caldo e il raccolto potrebbe essere di gran lunga inferiore al previsto, forse al di sotto di 100 milioni di tonnellate. Prima dello stop all'export l'India puntava a spedire 10 milioni di tonnellate e solo ad aprile aveva firmato contratti per 1,5 milioni. In tutto, poi, ogni anno la sua produzione arriva a 93.500.000 tonnellate di grano.
Le conseguenze sul resto della filiera alimentare
Secondo il governatore della Banca d'Inghilterra la guerra in Ucraina ha causato l'inflazione più alta nel Regno Unito da trent'anni a questa parte ed ha avvertito che i prezzi alimentari "apocalittici" che si stanno vedendo potrebbero avere un impatto disastroso a trecentosessanta gradi sull'Occidente e sui poveri del mondo. La situazione del grano, infatti, ha effetti pericolosi anche su tutto il resto della filiera alimentare. Il prezzo del riso, ad esempio, è salito del 21% nell'ultimo anno secondo un'analisi della Coldiretti. Il costo dei grassi vegetali è aumentato del 46%, quello dei cereali del 34%. Quindi ci sono i prodotti a base di latte (24%), lo zucchero (22%) e la carne (17%). In generale, così, i prezzi dei prodotti alimentari mondiali sono cresciuti del 30% rispetto ad aprile 2021.
La situazione e i pericoli in Italia
Quali possono essere gli effetti di questa crisi in Italia? Le importazioni di casa nostra dipendono solo per il 5% da Russia e Ucraina (secondo i dati Istat diffusi dai Consorzi Agrari d'Italia). Al momento come Paese ci siamo impegnati a versare 5 milioni di euro alla Fao per realizzare progetti a favore del settore agricolo in Ucraina e per finanziare iniziative a supporto del sistema alimentare nelle nazioni più colpite.
In termini di cibo l’Italia è un Paese deficitario su molti fronti: viene prodotto appena il 36% del grano tenero che le serve, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo. I prezzi dei agricoli, che erano già in rialzo a causa della pandemia, dopo la guerra scoppiata in Ucraina e la siccità che continua ad aleggiare sugli Stati Uniti hanno solo peggiorato la situazione.
Da marzo 2021 a marzo 2022, come certifica l'Istat, nel nostro Paese ci sono stati aumenti molto importanti: pere (34,2%), olio non d'oliva (25,9%), radici, bulbi e altri vegetali (carote, finocchi, cipolle, aglio, asparagi e i carciofi, prodotto tipicamente pasquale – 20,8%), pomodori (20,6%), altri vegetali coltivati per frutti (18%), burro (17,6%), pasta (16,5%), arance (12,4%), cavoli (12,2%) e crostacei freschi (11,4%). L'intensificarsi della crisi alimentare, quindi, rischia di avere effetti pesanti sulle tasche degli italiani e potenzialmente di far chiudere le realtà aziendali più piccole, soprattutto nel settore del grano.
"Per i piccoli molini la produzione degli sfarinati rischia di diventare un’attività non sostenibile, anche se è quello per cui sono nati” spiega Anna Pantanali, responsabile marketing e R&S di Molino Moras, un'impresa molitoria a conduzione famigliare attiva da più di 100 anni in Friuli Venezia Giulia.