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Il più bel tacer non fu mai scritto

Mercati in altalena complice lo “scetticismo” che filtra da Berlino in previsione dell’eurovertice dell’8 e del 9 dicembre. Ma se il rigore è una virtù, l’intransigenza non lo è neppure in economia.
A cura di Luca Spoldi
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Mario Draghi, Mario Monti

Ho scritto più volte che l’Italia soffre da tempo di vari mali, il primo dei quali l’assenza di crescita (da 15 anni ormai), che coniugato ad una cattiva gestione della cosa pubblica, a sprechi, corruttele e clientele varie di una parte del mondo politico (a braccetto con una parte di quello imprenditoriale visto che dubito possa un corrotto corrompersi da solo) e ad una vasta evasione ha finito col portare ad una situazione insostenibile le finanze pubbliche, con un debito/Pil del 120% che rende oneroso e difficile ogni sia pur lieve miglioramento. Ciò detto vien da chiedersi quanta parte dell’onere che attualmente i titoli di stato italiani scontano (stasera il Btp a 2 anni rende il 5,65% dal 5,59% di ieri, quello a 3 anni il 5,95% dal 6,00%, quello a 5 anni si riporta al 6,19% dal 6,07% e quello a 10 anni torna al 5,99% dal 5,87%, con uno spread rispetto ai Bund a 10 anni di 389 punti base contro i 368 alla chiusura precedente) dipenda da “colpe” esclusivamente italiane e quanto da demeriti altrui.

Stamane infatti i mercati azionari e obbligazionari apparivano in ulteriore ripresa e non davano particolare peso a Standard & Poor’s e ai suoi avvertimenti di un possibile taglio del rating dei paesi dell’Eurozona e dello stesso fondo salva stati Efsf (tanto meno si preoccupavano di quello che diceva Dagong, agenzia cinese che ha ridotto di un “notch” il merito di credito sull’Italia), a conferma che le agenzie di rating sono solo un dito puntato verso la Luna, come ricordavo ieri, che non creano né distruggono la Luna stessa e nello specifico hanno un ruolo solo nella misura in cui riescono a modificare l’atteggiamento degli investitori nei confronti di alcuni emittenti, cosa che in questi mesi è in realtà andata via via affievolendosi (nonostante la vulgata popolare sia propensa a credere il contrario e a dare fiato a teorie complottiste).

Se il peccato originale italiano, ora che un esecutivo “tecnico” come quello di Mario Monti ha sostituito un governo dimostratosi non all’altezza del compito come il precedente e sotto questo profilo “rassicurato” i mercati (tanto che i tassi dei Btp sono calati di oltre un punto e lo spread coi titoli tedeschi si è ridotto in misura analoga), resta quello di non aver avuto alcuna politica né industriale né energetica né di qualsiasi altro tipo a favore dell’innovazione e della crescita da anni (e per ora non si notano particolari cambiamenti in questo senso, il compito essendo forse oltre lo spazio di manovra concesso all’attuale esecutivo più che superiore alla sua competenza tecnica), non è che le autorità europee e quelle tedesche in particolare appaiano esenti da colpe.

L’ho già fatto notare in passato, ma i continui balbettii e cambi di opinione di “Frau” Merkel o di “Sarkò” non giovano ai mercati né ai debitori più deboli come Italia, Spagna o Grecia (ma neppure a quelli che si considerano più forti come Germania o Francia), le “indiscrezioni” lasciate filtrare come oggi da “anonimi funzionari” alle agenzie di stampa internazionali circa lo “scetticismo” di Berlino sui possibili esiti dell’eurovertice di Bruxelles in programma l’8 e il 9 dicembre producono danni immediati e quantificabili. Da stamattina quando i mercati erano convinti che tutto andasse per il meglio e che se non fosse stata la Bce ad assumere un ruolo più diretto a sostegno dei paesi in crisi, o almeno indiretto tramite l’Fmi, ci sarebbero stati gli Eurobond comunitari, o almeno ci sarebbero stati più fondi a disposizione dell’Efsf e/o del so successore (il meccanismo permanente di stabilizzazione europeo), a stasera quando ci si affida solo più a “super Mario Draghi” per ulteriori tagli dei tassi ufficiali europei (quasi tutti prevedono per domani una nuova riduzione dello 0,25%, che secondo alcune banche d’affari come Barclays Capital potrebbe essere seguita da altre tre mosse analoghe che porterebbero il costo del denaro allo 0,25% in Europa entro la prossima primavera) e, soprattutto, per un ammorbidimento dei criteri relativi ai collaterali che le banche possono apportare alla stessa Bce in cambio di liquidità, il rendimento dei titoli di stato italiani è rimbalzato di quasi mezzo punto percentuale.

Il problema è che la crisi resta una crisi di fiducia, non di liquidità, una crisi in cui molto se non tutto dipende da quale strada si deciderà di seguire per distribuire i costi: la Merkel continua ufficialmente a escludere che i bondholder privati, ossia le banche, dovranno subire altri “haircut” come quello del 50% sui titoli del Tesoro greco, ma i mercati non si fidano e le banche continuano a vendere i titoli stessi, acquistati solo più dalla Bce da mesi. Così il cane si morde la coda e come dichiarano unanimi le agenzie di rating di tutto il mondo il credito va restringendosi, danneggiando sempre di più l’economia reale, il debito tende a non scendere nonostante le manovre “draconiane” varate (sinora purtroppo sulla pelle dei “soliti noti” e coi soliti artifici fatti più di aumenti d’imposte, bolli e accise che non di tagli alle spese, agli sprechi, ai privilegi anche “ecclesiastici” o lotta all’evasione), il suo rifinanziamento costa caro e dipende quasi esclusivamente dalla disponibilità delle banche centrali di mantenere in vita (artificialmente) il mercato del credito.

In una situazione così precaria servirebbe unità d’intenti e capacità di comunicazione che gli spocchiosi tedeschi, convinti di essere dalla parte della ragione (cosa tecnicamente vera), dimostrano di non avere. Il rigore in economia è una virtù, l’intransigenza lo è molto più raramente. Spero che non si debbano perdere altri mesi e bruciare altri miliardi di euro (e milioni di posti di lavoro) per capirlo e per mettersi tutti al lavoro per immaginare le soluzioni alla irrisolta domanda di fondo: come fare a sopravvivere in un’economia globalizzata che avvantaggia gli “smilzi” paesi emergenti e penalizza “l’obeso” Occidente? Servirebbe innovare, alzare il tasso di competenza dei lavoratori, inventarsi nuovi prodotti e servizi in grado di rispondere meglio alle esigenze reali dei mercati (a casa nostra e nel resto del mondo), abbandonare modelli capitalistici familiari che continuano a vedere troppi incroci azionari, troppe ragnatele di partecipazioni, troppi salotti buoni mantenuti a spese di azionisti di minoranza e piccoli investitori da un manipolo di banchieri, manager e imprenditori interessati solo ad arricchirsi personalmente e non a incrementare il valore per i propri azionisti, pubblici o privati che siano.

Servirebbe insomma una rivoluzione, soprattutto culturale oltre che economica e politica, per poter approfittare dei tassi ai minimi storici e far ripartire l'economia.Servirebbe tutto questo, ma finora si è visto ben poco, per cui il consiglio è vi do è: state in campana, come investitori e come cittadini.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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