Il piano da 30 miliardi per salvare First Republic Bank dal fallimento. Wall Street chiude in rialzo
"Salviamo la First Republic Bank". Questo l'appello lanciato dalla Casa Bianca alle principali banche statunitensi con l'obiettivo di evitare un altro collasso anche per l’istituto di credito californiano che sconta ora le maggiori difficoltà, dopo i crac di Silvergate, Signature Bank e Silicon Valley.
Le banche, secondo quanto scrive Bloomerg, avrebbero risposto all'appello e ora sono vicine al raggiungimento di un accordo per depositare circa 30 miliardi di dollari.
Le quattro più grandi, JPMorgan Chase, Bank of America, Citigroup e Wells Fargo, hanno contribuito con cinque miliardi di dollari ciascuna; Goldman Sachs e Morgan Stanley ne hanno dati 2,5; mentre BNY Mellon, PNC Bank, State Street, Truist e US Bank hanno aggiunto un miliardo a testa.
Gli istituti di credito sottolineano l’importanza delle banche di piccole e medie dimensioni per il corretto funzionamento del sistema finanziario Usa, affermando che il provvedimento “dimostra il nostro impegno ad aiutare tutti gli istituti del Paese ad operare al meglio per i propri clienti e per le comunità in cui operano", come si legge in un comunicato congiunto firmato da Dipartimento del Tesoro, Federal Reserve, Federal Deposit Insurance Corporation e Office of the Comptroller of the Currency.
Una notizia che ha portato un po' di serenità a Wall Street, dopo giorni di turbolenze. In particolare, il Dow Jones ha guadagnato l'1,17% a 32.247 punti, l'S&P 500 l'1,75% a 3.960 e il Nasdaq il 2,48% a 11.717. Quest'ultima trainata da Alphabet, protagonista di un rialzo del 4,38% dopo aver annunciato l'intenzione di aumentare il prezzo di YouTube TV per compensare l'aumento dei costi dei contenuti. First Republic ha chiuso in rialzo del 9,5%.
E il profumo di ottimismo arriva anche dalla Svizzera: Credit Suisse potrà infatti ricorrere a una linea speciale di credito fino a 50 miliardi di franchi messa a disposizione dalla Banca nazionale elvetica. L'istituto, da tempo in difficoltà, era stato messo in ginocchio dalla decisione del suo maggiore azionista, la Saudi National Bank, di non iniettare ulteriore capitale.