La fila di petroliere in attesa di scaricare fuori dal porto di Rotterdam, il principale hub europeo di prodotti petroliferi, è ormai arrivata a 50 vascelli, il doppio di quelli che normalmente attendono di poter attraccare. Era da sette anni che non si vedeva una simile coda e questo accade perché le cisterne dove scaricare il carburante sono a loro volta quasi completamente sature. E’ l’altro volto della “guerra” del petrolio, che vede una sovraproduzione mantenere i prezzi vicini ai minimi pluriennali, nonostante qualche modesto recupero su base giornaliera ai prezzi correnti. Con l’esaurirsi della capacità di stoccaggio a terra, molti operatori stanno replicando una strategia vista tra il 2008 e il 2009, ossia decidono di mantenere il petrolio stoccato nelle stesse petroliere, che restano così diversi giorni se non settimane alla fonda in attesa di poter scaricare e ripartire per un nuovo viaggio.
Normalmente questa strategia sarebbe considerata inefficiente, perché anche solo ritardare di un giorno le operazioni di scarico significa aumentare i costi del trasporto, ma viste le quotazioni attuali dell’oro nero, questa è l’ultima preoccupazione di chi, vedendo che i prezzi “forward” (ossia per acquisti con consegna futura) sono in crescita rispetto ai prezzi “spot” (per consegna immediata) decide di comprare comunque il carico di greggio per poi stoccarlo e consegnarlo successivamente. Lo scorso 19 febbraio nelle cisterne di Rotterdam erano stipati qualcosa come 51,3 milioni di barili di petrolio e la cifra difficilmente sarà scesa in questi ulteriori 10 giorni, semmai sarà salita visto che i terminali erano occupati “solo” al 96% (contro l’85% di un anno prima).
La situazione che si registra a Rotterdam non è eccezionale: a Cushing, il grande terminal petrolifero americano, le scorte erano ugualmente ai livelli massimi degli ultimi sette anni, in Cina la situazione potrebbe essere persino peggiore a breve, visto che un calo della domanda del maggior importatore al mondo vuol dire in prospettiva bloccare decine se non centinaia di vascelli alla fonda in attesa di farli scaricare. La situazione non sembra tuttavia ancora preoccupare i produttori, con l’Arabia Saudita che al di là di aver congelato la produzione sui livelli di gennaio, d’intesa con la Russia, non ha alcuna intenzione di ridurla, mentre l’Iran ha già rigettato l’accordo e dunque continuerà ad aumentare gradualmente la produzione e l’esportazione del greggio, ora che le sanzioni occidentali sono state rimosse.
Se la debolezza dei prezzi del petrolio è stata tra le cause della violenta discesa delle quotazioni dei mercati azionari a inizio anno, la cosa può addirittura far sorridere alcuni operatori economici, quali in particolare i proprietari delle flotte petrolifere, perché un numero sempre maggiore di vascelli finirà per essere affittato anche solo come “deposito galleggiante”, garantendo buoni utili a fronte di costi limitati, e i produttori automobilistici, che non a caso sono tornati a sfoggiare auto di grande cilindrata, Sport utility vehicle e auto sportive a tutto spiano, come confermano le novità annunciate all’apertura del Salone dell’Auto di Ginevra, oggi.
In Svizzera particolarmente sorridente è apparso Sergio Marchionne: anche a febbraio le immatricolazioni hanno continuato a correre in Italia (50.081 veicoli, +32% contro il +27,2% del mercato) e negli Stati Uniti (182.879 veicoli, +11,8% contro il +9,2% atteso dagli analisti) dove il gruppo ha approfittato ulteriormente delle difficoltà di Volkswagen Audi (34.039 immatricolazioni, -8,4%) e dello stop di General Motors (227.825 immatricolazioni, -1,5%). Forse anche per questo Marchionne, che a Ginevra ha presentato il Suv Levante a marchio Maserati (proposto in vendita a 75.900 franchi svizzeri/76.000 dollari) nel giorno in cui la produzione dell’Alfa Romeo Giulia è ufficialmente partita a Cassino, sembra aver cambiato idea sul tema delle alleanze.
Dopo aver inutilmente “corteggiato” General Motors, Marchionne ha spiegato che non ci sono altri dossier allo studio. Con Psa-Peugeot “ci sono stati contatti in passato” e oggi forse i francesi sono pentiti dei “no” detti all’epoca al gruppo italiano, ma oggi una fusione, per quanto non inverosimile, non è in discussione: “dopo che Gm ci ha detto no, abbiamo parlato con altri e deciso di non accordarci con nessuno perché il gioco non valeva la candela”. Almeno finché, anche grazie al petrolio (e alla benzina) a buon mercato le vendite di automobili continueranno a correre e i produttori, tra cui Fca, potranno proporre veicoli di fascia elevata sui quali i margini sono ben più corposi che non su vetture come la Fiat 500.