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Opinioni

Il nuovo miracolo italiano

Nei primi quattro mesi dell’anno in Italia si è verificato uno strano nuovo “miracolo”: nonostante la crisi oltre al debito pubblico sono salite anche le entrate fiscali. Ma state tranquilli, il “miracolo” non durerà, nonostante tutto…
A cura di Luca Spoldi
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Potremmo chiamarlo “il nuovo miracolo italiano”, ma non fraintendetemi, non si tratta di nulla di positivo per voi o per me. Secondo l’ultimo Supplemento al bollettino statistico della Banca d’Italia, a fine aprile il debito pubblico italiano era salito a quota 2.041,3 miliardi, ossia 6,5 miliardi in più rispetto ai 2.034,725 miliardi di fine marzo). Nei primi quattro mesi del 2013 il fabbisogno è risultato pari a 46,6 miliardi, di poco superiore (0,5 miliardi) a quanto registrato nello stesso periodo dello scorso anno e già questo è un mezzo miracolo se contate che rispetto allo scorso anno la crisi si è mangiata solo nei primi tre mesi del 2013 2,4 punti percentuali di Pil (pari a una trentina di miliardi dato che il Pil italiano in valore assoluto è attorno ai 1700 miliardi di euro annui) e che nonostante tutto le entrate tributarie sono continuate a salire, arrivando nel solo mese di aprile a quota 29,22 miliardi (contro i 28,13 miliardi circa registrati nell’aprile 2012).

Il “nuovo miracolo italiano” è proprio questo, che nei primi quattro mesi dell’anno il fisco sia riuscito a prelevare dalle tasche di aziende e famiglie italiane 113,77 miliardi in tutto, contro i 111,30 miliardi circa dello stesso periodo di un anno prima. Come abbia fatto confesso di non saperlo, sarà la famosa “lotta all’evasione”, sarà che i contribuenti “onesti” provano a pagare le tasse prima di esalare l’ultimo respiro (in qualche caso purtroppo non solo figurativamente). Certo, se avete mai sperato (nonostante abbia provato a mettervi in guardia più volte) nelle fallaci promesse elettorali di chi prometteva l’abolizione dell’Imu e la sospensione dell’aumento dell’Iva (e ancora prova a prometterlo, sia pure ogni giorno con toni più flebili, ma potete scommetterci che se si dovesse mai andare a elezioni anticipate in autunno torneranno a intonare la litania del “dobbiamo tagliare le tasse”), scontrarsi con la realtà è piacevole.

Ma non abbiate paura, nonostante i diktat giunti in questi giorni dal ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schauble, secondo il quale l’Italia “non è il malato d’Europa” (grazie) e quindi non ha bisogno e non deve deviare dal “risanamento” nè deve dare per scontato di ottenere deroghe agli impegni presi come invece hanno ottenuto altri paesi (un paio a caso: Francia e Spagna), e nonostante la stessa Bce di Mario Draghi non possa far altro che ammonire che se non vi saranno riforme strutturali o una qualche ripresa l’Italia vedrà il rapporto debito/Pil superare anche il tetto del 130% e forse non riuscirà a mantenere quel 2,9% di deficit/Pil che ha consentito il mese scorso di uscire dalla procedura di “infrazione”, ebbene nonostante tutto questo  continuare ad aumentare il peso delle tasse semplicemente non è possibile, stante l’attuale quadro macroeconomico italiano.

Quadro che presenta, è sempre bene ricordarlo utilizzando i dati Istat del primo trimestre una domanda aggregata nazionale che si sta stabilizzando attorno al punto percentuale di perdita annua ormai da alcuni trimestri, decimale più decimale meno, a causa di un lieve calo dei consumi (che l’aumento dell’Iva dal prossimo primo luglio, che vi do per certo, non potrà certo far aumentare, o si sarebbero già notati acquisti anticipati per cercare di evitare l’aumento medesimo) e di un più consistente calo degli investimenti fissi lordi. Quest’ultima voce indica quanto investono le aziende ed è il vero nocciolo della questione, attorno al quale si può riflettere anche per valutare la possibilità che si risolva.

Sconfiggere la disoccupazione sembra stare a cuore anche al G8, ha anticipato stamane Armando Varicchio, consigliere diplomatico di palazzo Chigi (dove oggi si sono incontrati i oggi i ministri dell’Economia e del Lavoro di Germania, Francia e Spagna per un vertice sull’argomento) che all’agenzia Reuters ha fatto sapere come nel documento conclusivo del meeting degli otto paesi più industrializzati al mondo (tra i quali l’Italia non resterà per molti anni ancora se prosegue la deindustrializzazione in corso) in programma in Irlanda del Nord la prossima settimana dovrebbe esservi un riferimento specifico “all’obiettivo di aggredire il fenomeno della disoccupazione, in particolare quella giovanile”.

Intento lodevole, che sposo sicuramente (e chi non lo farebbe). Peccato però che ad un fact checking men che superficiale si notino almeno un paio di problemi non del tutto trascurabili, quali il fatto che non vi sono risorse, come ha ricordato anche ieri durante il question time del Senato il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni e che se anche vi fossero e, saggiamente, si decidesse di utilizzarle per alleviare il cuneo fiscale sul lavoro più che per restituire agli italiani 70 euro di tassazione sulla prima casa (a tanto è risultato pari l’anno passato l’importo medio dell’Imu pagata sulle sole prime case), non è detto che l’indomani le aziende tornerebbero ad assumere visto che se non c’è domanda in Italia non si capisce perché si debba assumere personale.

Come dite? Che le aziende potrebbero assumere personale in Italia per produrre beni e servizi per l’estero? A parte il fatto che le aziende italiane (e non) cercano sempre di operare là dove vi è un quadro fiscale e normativo favorevole (e avrei qualche riserva a dire che in Italiai sia così), chi puà già ora prova a farlo, o quanto meno prova a non licenziare personale quando può utilizzarlo per produzioni che trovano uno sbocco su mercati esteri. Ma come ripetuto fino alla nausea l’Italia è un sistema con evidenti limiti: vecchio, sclerotizzato e nostalgicamente attaccato al suo “grande futuro dietro le spalle”. Servirebbe indirizzare gli investimenti sui giovani lavoratori, sulle giovani imprese, sulle giovani idee. Servirebbe un nuovo modello di credito che facesse da volano a tutto questo. Servirebbe tanta buona volontà e fiducia. Voi ne vedete traccia in giro? PS: se vi interessa domani provo a spiegarvi nei primi quattro mesi dell’anno dove sono finite le nostre tasse, non sono sicuro che vi divertirete ma almeno sarete cittadini informati dei fatti.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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