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Opinioni

Il mondo sta invecchiando

Intenti a contemplare la crisi presente, non sembriamo renderci conto che il mondo sta invecchiando rapidamente e questo causerà grandi mutamenti (e possibili problemi) a produzione, consumi e previdenza…
A cura di Luca Spoldi
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Siamo talmente concentrati a contemplare la crisi in corso, contemplarla senza peraltro cercare di trovare soluzione alcuna che non l’applicazione, tardiva e senza troppa cognizione, di quel “rigore” che sarebbe stato necessario da 20 anni almeno, prima che il debito pubblico superasse l’ammontare del Pil (anzi prima che superasse quel 60%-70% di Pil soglia oltre la quale è stato ripetutamente dimostrato iniziano i problemi per qualsivoglia paese) che non sembriamo più in grado di pensare al nostro futuro. Uso il plurale perché il problema non è solo italiano e non è solo dovuto a una classe dirigente (politica, industriale e creditizio/finanziaria) tra le più scadenti d’Europa, ma ci accomuna a gran parte del mondo occidentale.

Così presi dalle ansie del nostro presente, non pensiamo che il mondo sta invecchiando (tutto: dall’Italia al Giappone, dagli Stati Uniti alla Cina), come inevitabile che sia visto che gradualmente sta rallentando una crescita demografica che resta comunque su un tragitto insostenibile per il pianeta a lungo termine. Ci saranno dunque sempre più vecchi in futuro e questi vecchi dovranno confrontarsi con problemi pari o superiori a quelli che stanno ora affrontando giovani e meno giovani, futuri vecchi tra 15-20 anni. In quell’arco di tempo, ricordavano qualche giorno fa gli analisti di Morgan Stanley in una ricerca, si prevede che crescerà fortemente la domanda di prodotti e servizi per soddisfare le necessità degli over sessantacinquenni.

Non che la cosa debba solo preoccupare, anzi: con il solito pragmatismo americano gli esperti notano come globalmente gli anziani consumano più delle persone di età non superiore ai 45 anni, ma che chiedono cose differenti (ma va’?) come prodotti e servizi medicali, mentre le spese per trasporti o abbigliamento tendono a diminuire. Se vivessimo in un paese che ha costruito le sue fortune negli ultimi decenni puntando molto sul settore dei trasporti o del tessile-moda, potremmo avere dei problemi. Ops, ma noi siamo nel paese che per decenni ha costruito e coccolato prima il mito di Fiat e poi del tessile-moda (Marzotto prima, Benetton poi, infine le “grandi firme” da Armani a Prada, da Dolce e Gabbana a Missoni, per dirne qualcuna). Come potremo attrezzarci per affrontare questo trend demografico inevitabile?

Gli analisti fanno il loro lavoro e avvertono: anche all’interno dei singoli settori l’invecchiamento globale della popolazione sta modificando la propensione alla spesa, perché i consumatori anziani preferiscono alcuni marchi ad altri e tendono ad effettuare acquisti vicino a casa (io aggiungerei: sempre più di frequente tenderanno a farlo anche online visto che si saranno abituati nel corso dei decenni), senza doversi recare negli affollati ipermercati e centri commerciali extra urbani. Così gli addetti allo sviluppo di prodotti e servizi dovranno tenere in conto dei cambiamenti in atto per evitare di trovarsi di colpo spiazzati dal mercato, magari prendendo esempio da come hanno agito alcune aziende giapponesi, avendo già iniziato da anni ad affrontare il problema.

Ma l’invecchiamento della popolazione ha anche un altro effetto: se nel 2007 la spesa pubblica per pensioni era pari al 7% del Pil dell’intera area Ocse, tra il 2010 e il 2030 si prevede un incremento del 67% medio del numero degli over sessantacinquenni e questo non potrà che portare ad un incremento della spesa per pensioni, anche pubbliche. Il che in un paese che in questi anni ha più volte riformato il proprio sistema pensionistico suona come l’ennesimo campanello d’allarme: non dite poi che non vi ho avvisto quando tornerete a sentir parlare di tagli alle pensioni, o ai coefficienti di rivalutazione delle stesse, o innalzamento dell'età pensionabile, il tutto magari condito dalle inevitabili quanto nella sostanza inutili polemiche circa le “pensioni d’oro” di questa o quella cricca.

Gli analisti di Morgan Stanley segnalano come, naturalmente, i sistemi pensionistici retributivi, tuttora prevalenti in gran parte del mondo (non solo dell’Occidente) rischieranno di essere sempre più insostenibili: si va, insomma, verso un mondo che pagherà pensioni pubbliche unicamente in base al sistema contributivo (che in Italia è già entrato in vigore negli anni Novanta con la riforma Dini ed è stato poi rafforzato con le riforme successive). Tutto a posto? Mica tanto, se ai giovani non viene dato in tempo la possibilità di accumulare contributi sufficienti e in questo momento, guarda caso, non è così perché sono proprio i giovani la fascia di popolazione in età da lavoro maggiormente colpita dalla disoccupazione, o sottoccupata in mansioni non adeguate al titolo di studio o assunti in modo precario per periodi di tempo intermittenti. Insomma: da qui a 15-20 anni avremo problemi per quanto riguarda la produzione, i consumi e la previdenza, se non ci muoveremo per tempo. Peccato che non mi paia proprio che qualcuno si stia dando pensieri al riguardo, voi che dite?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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