Il mondo cambia ogni giorno e fare finta che non succeda nulla, o peggio tentare di mantenere indefinitamente immutato lo “status quo” come si sta facendo in Italia da anni non può portare ad alcun frutto (non per nulla sono ormai quasi 16 anni che il paese non vede alcuna crescita in termini reali, a differenza di larga parte del mondo sviluppato ed “emergente”). Così mentre vi segnalo la “curiosità statistica” di un Prodotto interno lordo cinese che entro la fine dell’anno corrente potrebbe sia pure di poco superare quello statunitense (secondo l’International Comparison Program se verranno rispettate le previsioni di una crescita rispettivamente del 10% e del 3% a fine anno il Pil di Pechino dovrebbe salire attorno ai 16.400 miliardi di dollari, quello di Washington fermarsi a poco meno di 16.200), ennesima conferma del graduale spostamento del potere economico mondiale da una all’altra sponda del Pacifico (dopo che il secolo scorso aveva già visto un analogo spostamento dall’una all’altra sponda dell’Atlantico, in quel caso a beneficio degli Usa e ai danni dell’Europa), vi suggerisco di tener d’occhio gli ultimi trend d’investimento che vanno emergendo in tutto il mondo.
Da qualche anno si investe in particolare su due settori, l’energia e l’ambiente, che si trovano ad avere un comune denominatore nella ricerca di una maggiore efficienza energetica. Secondo i risultati dello studio “Stato e prospettive dell’efficienza energetica in Italia”, realizzato dalla Fondazione Centro Studi Enel insieme all’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, ad esempio, l’applicazione di strumenti e sistemi per l’efficienza energetica “potrebbero generare un impatto sul sistema economico nazionale pari al 2% del Pil e un risparmio compreso tra 50 e 72 milioni di tonnellate di CO2 al 2020”. A ciò, segnala l’Enel, “si aggiungerebbe un aumento degli occupati fino al 2% a fronte di una riduzione dei consumi totali di energia compresi tra il 12% e il 18%”. Sempre secondo questo studio le principali difficoltà nella realizzazione di politiche che aumentino l’efficienza energetica “riguardano fattori culturali, economici, regolatorio-normativi e tecnologici”.
Senza che la cosa possa sorprendere alcuno, la ricerca cita “dalla scarsa efficienza nell’allocazione degli incentivi rispetto alle reali esigenze del mercato”, come gli aiuti destinati a tecnologie diffuse e ormai mature, “alla difficoltà di accesso e alla scarsa aderenza alle reali esigenze degli operatori” cui si aggiunge “la complessità regolatoria, in particolare nei casi di tecnologie legate all’utilizzo di energia elettrica, accompagnate dalla mancanza di un sistema paese a supporto dell’efficienza energetica”. Tradotto: se anziché buttare via miliardi (che finiamo col pagare tutti all'interno della bolletta elettrica) per fornire ad alcuni produttori incentivi ormai non più necessari, visto che nel frattempo le tecnologie usate hanno consentito un calo dei costi di produzione e un aumento del rendimento energetico (ed economico), si rimodulasse il sistema tariffario (al momento fortemente progressivo), si abbattessero le barriere alla concorrenza e si favorisse la “riduzione dei consumi energetici, sia in termini di decarbonizzazione di alcuni settori come quello dei trasporti e del riscaldamento, sia di diminuzione degli inquinanti, specie nelle città” otterremo benefici decisamente superiori agli attuali.
Ma chi sta investendo nell’energia e nell’ambiente? Ad esempio il Fondo Italiano di Investimento, che in questi giorni ha sottoscritto un impegno da 30 milioni di euro nei confronti di Ambienta fund II, secondo fondo gestito da Ambienta Sgr, a sua volta società di private equity i cui fondi investono in aziende caratterizzate “le cui determinanti della crescita si leghino a tematiche di utilizzo efficiente delle risorse naturali, del risparmio energetico, del controllo dell’inquinamento e della gestione o smaltimento efficiente dei rifiuti”. Ambienta Fund II in particolare ha finalizzato di recente un primo closing superando i 147 milioni di euro, a fronte di un obiettivo di raccolta complessivo pari a 300 milioni di euro che se raggiunto lo renderebbe il maggior fondo europeo dedicato al settore ambientale e questa sarebbe un segnale importante della volontà da parte degli investitori italiani di non voler perdere l’ennesima “treno”.
Negli Usa KKR, tra le maggiori società di investimento al mondo, ha annunciato da poco i risultati ottenuti dal proprio “Green Portfolio Program” (un programma di miglioramento operativo che utilizza un “obiettivo ambientale” per valutare le attività di business critici a cui partecipano società inserite nel portafoglio di private equity della stessa KKR) in cinque anni di attività: circa 917 milioni di dollari in risparmi sui costi e maggiori entrate e più di 1,8 milioni di tonnellate di gas serra evitati tra il 2008 e il 2012. Quanto agli aspetti più propriamente industriali proseguono gli annunci di fusioni e acquisizioni e del finanziamento di nuove tecnologia lungo tutta la filiara. I produttore solare statunitense SunPower ha ad esempio annunciato l’acquisto Greenrobotics Inc, altra azienda usa che ha sviluppato robot per la pulizia di impianti fotovoltaici di grandi dimensioni in grado di ridurre l’uso dell’acqua del 90% rispetto ai tradizionali metodi di pulizia degli impianti aumentando al contempo i rendimenti delle installazioni di circa il 15% nelle regioni secche e polverose.
Dall’altra parte del mondo la cinese Jiangsu Shunfeng Photovoltaic Technology (produttrice di celle solari e moduli fotovoltaici) si è aggiudicata per 492 milioni di dollari Wuxi Suntech Power, principale controllata del gruppo cinese Suntech, maggior produttore al mondo di pannelli fotovoltaici (ha venduto lo scorso anno prodotti per 1,8 Gigawatt contro i soli 206 Megawatt di vendite di Shunfeng) duramente provato dalla crisi legata alla sovraccapacità produttiva, tanto da finire in default su bond per 541 milioni di dollari lo scorso marzo. Proprio il default ha costretto l’azienda ad avviare la procedura di fallimento e a cedere Wuxi Suntech Power, a cui fanno capo circa 2 Gigawatt di capacità produttiva, vari brevetti e un’unità di ricerca e sviluppo. In tutto (compresi i bond sopra citati) Suntech ha oltre 2,3 miliardi di dollari di debiti (per il 76% in mano a creditori cinesi). Come dire che anche quando si parla di energia e ambiente occorre stare attenti a non dimenticarsi delle fondamentali regole economiche.