Tra poco più di 48 ore il Cda del Monte dei Paschi ufficializzerà l’operazione, ma già domenica pomeriggio un comunicato dell’istituto senese ha rotto gli indugi: Mps è pronta a varare un nuovo “capital plan” che preveda la “copertura integrale del deficit” di capitale emerso dal “Comprehensive Assessment, riconducibile all’analisi di scenario avverso dello stress test” della Bce “attraverso un aumento di capitale”. Non è invece allo studio, come si era già capito, “l’esercizio da parte di Mps della facoltà di conversione anticipata dei “Monti bond” in azioni ordinarie della banca”, “ovvero qualsiasi altra ipotesi che veda il Ministero dell’Economia e delle Finanze intervenire nella forma di nuovi aiuti di stato, come dichiarato più volte dallo stesso ministero”. Titolo che immediatamente ha reagito in borsa venendo nel corso della giornata più volte sospeso prima di chiudere a 62,8 centesimi di euro per azione, in crescita del 3,3% rispetto alla quotazione di venerdì scorso (quando però il titolo era crollato di un altro 10% abbondante).
Tutto chiaro e tutti contenti dunque? Non proprio: anzitutto il rimbalzo è ancora una volta poco consistente, dopo una caduta del 40% delle quotazioni nel mese di ottobre che ha portato il titolo a perdere il 57% rispetto agli 1,46 euro (prezzo rettificato) a cui il titolo aveva chiuso il 31 ottobre dello scorso anno. Poi non si capisce a questo punto con che animo possano gli attuali azionisti sottoscrivere nuove azioni dopo che solo a giugno l’istituto aveva condotto in porto un aumento da 5 miliardi fortemente diluitivo (sono stati emessi 214 nuove azioni per ogni 5 titoli esistenti), cosa che fece sorgere non pochi problemi, dato che una volta staccato il diritto (cui dopo un raggruppamento di 100 vecchi titoli in un’azione venne attribuito un valore di 23,1 euro, mentre all’azione post-aumento venne attribuito un valore “residuo” di 1,54 euro) ci furono degli sbalzi paurosi delle quotazioni con rialzi del 20% al giorno nei primi due giorni di aumento per il titolo, seguiti da analoghi ribassi, il tutto tra mille polemiche sul comportamento tenuto dalle autorità di Borsa e dalla Consob.
Guarda caso la Fondazione Montepaschi, che in questi giorni si è detta pronta a partecipare investendo fino a una cinquantina di milioni di euro (tali da garantire di conservare una partecipazione del 2,5% anche in caso di aumento di capitale per 2 miliardi, come a questo punto pare avverrà), aveva osteggiato per mesi la ricapitalizzazione, facendola slittare da gennaio, data proposta inizialmente dal presidente Alessandro Profumo e dall’amministratore delegato Fabrizio Viola, a fine maggio, così da aver modo di alleggerire ulteriormente la propria partecipazione passando dal 27,9% al 2,5% del capitale per un incasso di circa 685 milioni, 340 milioni dei quali finiti ad un pool di banche creditrici per estinguere i debiti contratti dalla Fondazione stessa. Insomma: Palazzo Sansedoni può oggi partecipare all’ulteriore aumento, che si preannuncia di nuovo fortemente diluitivo visto che la capitalizzazione supera al momento di poco i 3,1 miliardi di euro (rispetto ai quali 2,1 miliardi, che verosimilmente dovranno anche essere offerti “a sconto” per trovare acquirenti, rappresentano non meno del 67%), grazie ai soci degli “incauti” acquirenti dei suoi titoli pochi mesi fa (in particolare il 6,5% venne ceduto a Fintech Advisory e a Btg Pactual Europe al prezzo di 0,2375 euro per azione, per un incasso di oltre 180 milioni).
Può invogliare nuovi soci ad investire nella storica banca italiana un simile comportamento? Eppure senza esitazione alcuna anche Axa, altro socio “storico” di Siena (la cui rete, del resto, vende polizze assicurative del gruppo francese), ha già fatto sapere di voler partecipare pro quota (è socia al 3,725%) all’aumento in arrivo, dunque con un investimento di un’ulteriore ottantina di milioni. E tutti gli altri? Molti fondi e gestori (ad esempio Ubs, attualmente socia al 3,42%) potrebbero declinare o quanto meno vorranno vedere le condizioni a cui l’operazione sarà lanciata e le “ulteriori misure non diluitive e non onerose per la banca, tra cui la cessione di asset finanziari, volte a rafforzarne ulteriormente il profilo patrimoniale” di cui ha parlato il Cda di Montepaschi nel suo comunicato. Di che si tratterà?
Forse della cessione di attività “non core” come gli sportelli del gruppo in Francia e in Belgio, o le attività di finanziamento in leasing e factoring (che comportano non pochi rischi, specie di questi tempi), o finanche Consum.it, controllata attiva nel credito al consumo che risente della prolungata crisi dei consumi che sta attraversando l’Italia e che non è destinata a passare se non tra diversi anni, se non cambiano le condizioni macroeconomiche e demografiche e la “ricetta” con cui il governo italiano e i partner europei stanno gestendo questa crisi. Dopo di che, tuttavia, un Montepaschi “dimagrito” potrebbe pure ritrovarsi tra i soci qualche concorrente o potenzial partner (in borsa si parla da giorni di un possibile interesse di Bnp Paribas, che in Italia già controlla Bnl con la cui rete non vi sarebbero troppe sovrapposizioni in caso di una futura fusione).
Al di là del “toto soci”, tema che si incrocia necessariamente con quello del futuro allentamento del legame con la politica, un'altra cosa resta da capire: posto che ogni parte abbia continuato fino all’ultimo a tutelare esclusivamente i propri interessi, top management, Fondazione, rappresentanti “della società civile” e grandi soci, qualcuno ha mai considerato la tutela del risparmio? Perché sarebbe un diritto costituzionalmente garantito, in teoria. Ma è appunto sempre più una teoria senza alcun riscontro concreto in un paese che si appresta ad appesantire il peso del fisco sul risparmio (gestito, amministrato o previdenziale che sia) scambiando per esigenze populistiche gli investimenti dei piccoli risparmiatori per “rendite finanziarie”, senza peraltro chiedere mai conto a manager, politici e “grandi soci” del loro operato anche quando sorga qualche dubbio sulla correttezza dello stesso.