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Opinioni

Il 2016 si apre all’insegna di nuove incognite in campo economico

Inizio d’anno in rosso per i maggiori listini mondiali: dall’Asia a Wall Street indici in netto calo. Pesano le tensioni in Medio Oriente e la frenata della Cina. Cosa può significare per l’Italia e l’Europa questa situazione incerta…
A cura di Luca Spoldi
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Peggior inizio d’anno per le borse azionarie mondiali non si vedeva da diverso tempo. Hanno iniziato stamane le borse asiatiche, con Shanghai che ha segnato -6,86%, Shenzen in rosso dell’8,22% Hong Kong a -3,31%, Tokyo in calo del 3,06%, Taiwan del 2,68% e Bombay (scossa anche dall’assalto alla base aerea di Pathankot, nel Punjab), dell’1,89%.

Oltre alle tensioni geopolitiche legate al terrorismo e alla diatriba sempre più accesa, in Medio Oriente, tra Arabia Saudita e Iran, dopo la decisione di Riad di giustiziare l’imam sciita Nimr al-Nimr assieme ad altre 46 persone accusate di terrorismo, a pesare sui listini asiatici sono stati nuovi deludenti dati macro cinesi.

Nel primo giorno di funzionamento del nuovo circuito elettronico legato all’indice Csi 300, i dati relativi al settore manifatturiero di Pechino, in calo per il quinto mese consecutivo in dicembre, hanno ravvivato i timori di un rallentamento più forte delle attese della seconda economia mondiale, causando una prima sospensione delle contrattazioni a fronte di un calo del 5% dell’indice e poi il definitivo stop per tutta la giornata una volta toccato il -7%.

Se i freni “automatici” hanno evitato perdite ancora peggiori sui listini cinesi, non è stato possibile evitare che anche in Europa gli investitori corressero a vendere per alleggerire le posizioni, in particolare verso quei paesi o quei settori più esposti alla Cina come mercato di sbocco delle proprie esportazioni.

Così a Francoforte l’indice Dax30 dei 30 maggiori titoli tedeschi ha ceduto il 4,28%, con titoli come Rwe, e.On, Volkswagen, Bmw e Deutsche Bank in calo tra il 6,5% e il 4,5% a testa, perché si teme che un rallentamento della Cina pesi sulla domanda di prodotti di lusso e auto, ma anche, a ritroso, su quella di energia e di credito, da sempre fortemente cicliche (tali cioè che aumentano all’aumentare della ripresa economica, mentre calano quando l’economia rallenta).

Attorno al 2,4% il calo medio degli altri listini europei, con la borsa di Milano che ha visto l’indice Ftse Mib dei principali 40 titoli quotati cedere il 3,17%, con solo la “debuttante” (a Piazza Affari) Ferrari che è riuscita a chiudere in rialzo di circa mezzo punto rispetto alla chiusura di venerdì a Wall Street, dopo però aver debuttato con un rialzo teorico del 5%.

Sul listino italiano accanto a banche e industriali i titoli più colpiti sono stati oggi i titoli del lusso: un po’ perché con l’arrivo del “cavallino” qualche investitore ha fatto spazio in portafoglio, un po’ perché la Cina e l’Asia in genere è stata finora l’area su cui si incentravano le maggiori speranze dei nostri marchi del lusso, fatto sta che Yoox Net a Porter ha perso il 7% a fine giornata, Salvatore Ferragamo ha ceduto il 5%, Moncler il 3,6%, Luxottica il 3,4%, Tod’s il 2,5%, mentre solo la “piccola” Brunello Cucinelli è riuscita a limitare i danni chiudendo a -0,4%.

Se qualcuno ancora voleva avere una conferma di quanto il “modello tedesco” che da anni impera in Europa e predica rigore e austerità in casa a prescindere dall'andamento del ciclo economico per puntare tutto sulle esportazioni sia un modello intrinsecamente a rischio, è stato accontentato. Involontariamente, tuttavia, le turbolenze di questi giorni se rischiano di pesare sulla crescita del Pil 2016, potrebbero offrire un sostegno alla politica di “deficit spending” varata dal governo Renzi con l’ultima Legge di Stabilità.

Fare deficit in fase di ripresa è molto poco sensato, a meno che non vi siano rischi concreti che la ripresa svanisca come neve al sole per eventi esogeni come, appunto, un rallentamento della crescita mondiale, che tra l’altro è reso meno improbabile dalla recente decisione della Federal Reserve di iniziare ad alzare, lentamente, i tassi sul dollaro.

Morale: eravamo tutti convinti fino a pochi giorni prima di Natale che il 2016 sarebbe stato un anno di transizione con l’Europa pronta a prendere il testimone della crescita dagli Stati Uniti e forse sarà così, ma a fronte di una crescente volatilità. Le questioni che restano sul tappeto anche in quest’anno che va iniziando non sono molto dissimili da quelle viste nel 2015.

Lo scontro in atto in Medio Oriente per la supremazia geopolitica sulla regione tra Arabia Saudita e Iran continuerà a pesare sulle quotazioni petrolifere non meno che a influenzare l’andamento della “guerra al terrorismo” (o forse si dovrebbe dire “guerra col terrorismo”, visto che tanto Riad quanto Teheran sostengono su fronti opposti formazioni terroriste/antigovernative dallo Yemen alla Siria fino alla Libia).

L’incertezza sulla efficacia delle politiche messe in atto da Pechino per pilotare un atterraggio “morbido” della sua crescita economica, destinata quest’anno ad essere pari, secondo gli obiettivi ribaditi meno di quindici giorni fa, ad un 6,5%, ossia ancora meno del 7% che ci si era prefissi l’anno passato, continuerà a sua volta a pesare sulle quotazioni delle materie prime, petrolio in testa. Se a questo quadro si aggiungesse una caduta, anche non grave, degli indici di borsa sarà difficile che il 2016 possa portare a significativi incrementi dell’inflazione.

A questo punto una domanda rimane senza risposta: se non ci sarà inflazione e se la ripresa resterà fragile e a rischio in Europa e in Asia (e in rallentamento negli Usa), quanto potrà sopperire la politica monetaria ultra rilassata della Bce alla prolungata assenza di politiche tese a rilanciare la produttività delle imprese italiane e ad alleviare il peso delle tasse, ormai insopportabile per i contribuenti (che a fronte di una pressione fiscale del 43% medio che comprende l’evasione, vedono mediamente il 53% dei loro redditi finire in tasse, accise e tariffe varie)? E’ ancora presto per dirlo ma il 2016 potrebbe rivelarsi un anno un poco più spigoloso di quanto tutti ci siamo finora augurati potesse essere.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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