Per un investitore i numeri dovrebbero essere tutto, ma nella vicenda della crisi del debito sovrano e delle sue conseguenze per il sistema creditizio europeo, di numeri ve ne sono pirandellianamente uno, nessuno o centomila a seconda delle fonti, il che non aiuta certo a fare chiarezza anche se per ora ai mercati importa poco, visto che dopo un trimestre fortemente negativo come quello chiusosi a fine settembre l’unica cosa che sembra importare a tutti, intermediari e autorità, è favorire per quanto possibile un recupero dei mercati.
Andiamo con ordine e cerchiamo di dipanare la matassa: anzitutto qual è l’ammontare del debito pubblico greco? Secondo Eurostat a fine 2010 a fronte di un Pil di circa 230,17 miliardi di euro Atene ha registrato un deficit di bilancio di oltre 24 miliardi, con un debito pubblico schizzato a quasi 328,6 miliardi di euro. Miliardi cui corrispondono altrettanti titoli di stato che rischiano ora di valere ben poco per i loro sottoscrittori, visto che rispetto ad un primo accordo, del luglio scorso, in cui le banche avevano accettato un “haircut” (ossia un taglio dei rimborsi dei capitali investiti, al netto delle cedole) del 21%, ormai si parla di almeno il 40% (ma alcuni arrivano a ipotizzare anche un 60%) di riduzione, non avendo il governo greco liquidità sufficiente a evitare un fallimento (“default”) dopo la metà di novembre.
Prima di quella data, lo si ripete da più parti (l’ultimo è stato oggi il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso), la “troika” Ue-Bce-Fmi che finanzia gli aiuti ad Atene dovrà versare gli 8 miliardi di euro della sesta tranche o saranno guai. Il versamento, ha fatto sapere ieri la “troika”, verrà fatto, visto che il governo Papandreou si è impegnato a varare nuove misure di ristrutturazione dei conti pubblici (tra cui il licenziamento di 30 mila dipendenti statali). Misure che, notano gli analisti di Banca Aletti (gruppo Banco Popolare), finiranno col causare una recessione anche “peggiore di quanto previsto in giugno, con la ripresa che ci sarà solamente a partire dal 2013. Quest’anno la contrazione del Pil sarà del 5,5% e l’anno prossimo del 2,5%; anche se è probabile che questi numeri siano ben peggiori nei prossimi mesi a venire, non avendo il governo ellenico particolari armi da poter utilizzare per incrementare la domanda interna nell’immediato”.
Se Atene resta appesa al tenue filo degli aiuti internazionali, le autorità europee sembrano aver capito che è meglio prepararsi al peggio e trovare il modo di fornire nuovi capitali alle banche, esposte al debito greco (e con in portafoglio anche titoli portoghesi, irlandesi, spagnoli e italiani). Non rimborsare metà del debito sottoscritto significa far svanire circa 160 miliardi di euro con un tratto di penna, dunque le banche europee (che in parte già hanno ricapitalizzato nei mesi scorsi, come nel caso delle italiane Ubi Banca, Banco Popolare, Mps e Intesa Sanpaolo) debbono prepararsi verosimilmente ad una ricapitalizzazione per una cifra analoga.
Ma ecco il problema: se ieri si parlava di un nuovo stress test dell’Eba che avesse come obiettivo un Core Tier 1 minimo del 7% anche a fronte di uno scenario recessivo (sempre più probabile visto che tutti gli stati stanno cercando di tagliare le spese e certo non dispongono di grandi risorse per il rilancio dell’economia, come dimostra il continuo slittamento di provvedimenti al riguardo, in Italia e in tutta Europa) e si ipotizzava che almeno 48 istituti non riuscissero a centrare l’obiettivo e fossero quindi “indotti” (eventualmente anche con l’intervento delle autorità nazionali come accaduto per Dexia) a ricapitalizzare per almeno 100 miliardi di euro complessivi, stasera si parla di un Core Tier 1 minimo del 9%, un paio di punti in più che farebbero non superare la prova a “dozzine” di istituti secondo il Financial Times e che potrebbero richiedere 275 miliardi.
Qualcosa di più dovrebbe sapersi il prossimo 23 ottobre, quando torneranno a riunirsi i ministri delle Finanze della Ue, intanto Barroso ha voluto ribadire oggi che la sesta tranche di aiuti alla Grecia deve essere versata quanto prima; che l’entrata in vigore del Meccanismo europeo di stabilità va appunto anticipata alla metà del 2012; che le autorità di mercato dovrebbero utilizzare “temporaneamente” coefficienti patrimoniali “significativamente più alti” per quanto riguarda il capitale più alta qualità, mentre le banche dovrebbero ricorrere a fonti private di capitale, ma anche al sostegno del governo, se necessario, con l’Efsf stesso che andrebbe considerato quale “ultima risorsa” per reperire capitali, agendo non come un “firewall” ma come uno strumento dotato di un proprio “potere di fuoco”. Cifre, però, Barroso ha preferito non fornirle.
Così nonostante l’euforia dei mercati azionari (che consente anche alle banche italiane di guadagnare terreno nonostante una serie di ribassi dei rating da parte di Fitch, conseguenti al taglio del rating sovrano italiano operato venerdì), il Cds Italia (ossia il costo per assicurarsi contro il rischio di insolvenza del Tesoro italiano) resta a 423 punti base (1 in più di ieri), quello portoghese sale a 1190 punti base (+6), quello irlandese a 706 punti base (+8), mentre quello della Spagna cala a 355 punti base (-7). Come dire che l’Italia deve ancora recuperare la sua credibilità.
Basterà il voto di fiducia che il premier Silvio Berlusconi si appresta a chiedere dopo il clamoroso affondamento del governo in aula ieri sulla votazione dell’articolo 1 della legge di bilancio consuntivo 2010? Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, non sembra crederlo e torna a invocare nuove misure correttive, che toglierebbero ulteriore speranza di veder crescere il Pil l’anno venturo: un passaggio amaro e politicamente rischioso che però i mercati e i partner europei potrebbero tentare di imporre a Roma nelle prossime settimane. Con che effetto sulle banche e sui loro numeri nessuno al momento sembra in grado di dirlo né per l’Italia né per l’Europa tutta.