Un miliardo di euro di danni. A tanto, stando ai calcoli della Coldiretti, ammonta il danno che l’Italia pagherà per i dazi che l’amministrazione americana, guidata dal presidente Donald Trump e autorizzata dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, ha posto sui prodotti tecnologici, aerospaziali, ma anche alimentari – 25% di tariffa su pecorino romano, parmigiano reggiano, provolone e prosciutto – e del settore del lusso provenienti dall'Europa.
Una sberla violentissima, da parte del caro Donald, solo l’ultima in ordine di tempo. Che da quando è presidente degli Stati Uniti sembra avere un conto aperto con il Belpaese. Per sommi capi: ha sostenuto e poi scaricato il governo “ufficiale” Al Sarraj in Libia, appoggiato dall'Italia, decidendo di stare dalla parte del generale Haftar, appoggiato da Francia ed Egitto. Ha stralciato l’accordo con l’Iran sottoscritto da Obama, Iran di cui siamo tra i primissimi partner commerciali. Ha apertamente sconfessato il patto commerciale italiano con la Cina, chiedendo prova di fedeltà atlantica al precedente governo, così come a quello entrante. Ha dato vita a una guerra commerciale violentissima nei confronti della Germania, il principale acquirente della nostra manifattura.
Comunque si è mosso, Trump ci ha fatto un danno. E fa sorridere che l’abbia fatto tra gli applausi scroscianti dei nostri amici patrioti, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, devoti adoratori del guru della destra alternativa americana Steve Bannon, reinventatosi agente provocatore delle democrazie europee dopo la vittoria di The Donald alle elezioni presidenziali dell’8 novembre 2016. Gli stessi che si spellano le mani ad applaudire Viktor Orban, quello che ha bloccato ogni discussione sulla revisione del Trattato di Dublino e ogni ipotesi di redistribuzione dei richiedenti asilo, e che dopo averci fatto terra bruciata attorno, è tornato a casa nel Partito Popolare Europeo, fedele sostenitore della Commissione guidata da Ursula von Der Leyen, acquiescente alleato della Cancelliera Angela Merkel.
Verranno tempi migliori per la rivoluzione sovranista, pure a casa nostra, forse, anche se non vediamo come una terra di frontiera qual è l'Italia – cerniera naturale tra Nord e Sud, tra Est e Ovest dell'Europa – possa giovarsi di un mondo chiuso. Ma per il momento non possiamo che limitarci alla conta dei danni. Quelli del protezionismo economico e dell’isolazionismo politico, dell’anti-europeismo pregiudiziale di chi preferisce essere protettorato di Washington anziché partner europeo. Per ora, questa mirabolante strategia ci ha regalato il drastico rallentamento della crescita del nostro prodotto interno lordo, a ridurre drasticamente il flusso delle nostre esportazioni, ad aumentare le tensioni sociali all’interno del nostro Paese e a distruggere la nostra credibilità internazionale. Ma continuiamo a prendercela con Merkel, con Macron, con Bruxelles. Ne usciremo alla grande.