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Opinioni

I bei tempi di una volta (non torneranno più)

In tempi di crisi come l’attuale c’è chi rimpiange i “bei tempi” della lira, dimenticandosi di alcuni particolari che rendono il mondo di oggi diverso, irrimediabilmente, da quello di ieri. Proviamo a fare chiarezza…
A cura di Luca Spoldi
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Vi ricordate i “bei tempi” della lira? Tutto sembrava più semplice, se le cose giravano male bastava una bella svalutazione competitiva e magicamente le fabbriche tornavano ad avere ordini, le assunzioni ripartivano, il denaro riprendeva a correre. Correre letteralmente, perché poi nei “bei tempi di una volta” l’inflazione era solitamente elevata (nei mesi di luglio, agosto e novembre del 1980 venne ripetutamente toccata la soglia del 22% annuo, nel 2012 l’inflazione è risultata in media pari al 3%), il che si traduceva in un impoverimento reale delle famiglie e imprese italiane anche se poi una serie di meccanismi e ammortizzatori sociali (a partire dalla “scala mobile”) redistribuiva questa distruzione di ricchezza lungo l’intero corpo economico e sociale. Ora, con l’euro, svalutare non è più possibile e l’unica via, in una fase di recessione come l’attuale (dovuta alla duplice contrazione credizia e fiscale legata alla necessità e volontà di abbattere sia il debito pubblico sia il debito privato contemporaneamente), per cercare di sostenere l’attività economica e quindi il mercato del lavoro è attuare una deflazione interna.

Questo significa purtroppo che prezzi e salari dovranno scendere, che essendo meno redditizio produrre una parte almeno delle produzioni cesserà di essere fatta in Italia (o cesserà di essere fatta del tutto), che il numero di occupati potrebbe ridursi ulteriormente o comunque non aumentare abbastanza da ridurre il tasso di disoccupazione rispetto ai livelli attuali. Certo, potrebbe esservi la strada di un recupero di produttività e competitività (perché di questo stiamo parlando) ottenuto attraverso una perdita di competitività altrui, nel caso specifico della Germania rispetto al resto dell’Eurozona e dei paesi del Sud Europa come Spagna, Italia, Portogallo e Grecia. Ma voi davvero credete che Angela Merkel o il numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann (che ha spiegato ancora di recente alla stampa tedesca il suo pensiero su come ci si dovrebbe comportare per risolvere la crisi) siano disposti a frenare strutturalmente la crescita tedesca per favorire il rilancio delle economie del Sud Europa?

E in ogni caso questo richiederebbe, per dire, un differenziale di inflazione a favore nostro e a svantaggio della Germania (ossia che in Italia e nel resto del Sud Europa l’inflazione scendesse stabilmente sotto il 2%, meglio se sotto l’1%, mentre in Germania, al momento attorno al 2,1%, dovrebbe salire almeno sopra il 3%), cosa alquanto improbabile. Ci sono altre strade per recuperare competitività e/o trovare comunque il modo di sostenere la crescita? Ci sarebbe l’innovazione, che però non sempre produce nel breve nuovi posti di lavoro più di quanto non ne elimini e in ogni caso, come ha spiegato in un pezzo magistrale purtroppo ampiamente condivisibile Simone Cabasino, in Italia gli imprenditori non investono facilmente in innovazione per tutta una serie di problemi che riguardano tanto il settore pubblico quanto quello privato e che sono purtroppo tipici di un paese che finora ha scelto di puntare per lo sviluppo su poche grandi imprese pubbliche e una pletora di Piccole e medie imprese private molto tassate, per quanto incentivate (malamente) con finanziamenti pubblici.

Un paese immobile, che ha continuato (e continua) e finanziare università e facoltà di scarso valore senza seri meccanismi di competizione e non ha la capacità di concentrare le poche risorse disponibili sui centri di eccellenza di cui pure dispone e che continua a non attivare contratti di collaborazione o contratti a progetto nel caso di start-up innovative (ma poi chiude uno, due “o anche tre” occhi, per parafrasare una battuta del premier Mario Monti riferita all’evasione ed elusione fiscale, se ad utilizzare impropriamente partite Iva e contratti a progetto sono alcuni gruppi privati o call center). Altre strade? Al netto dell’acquisto di tempo che le banche centrali hanno finora effettuato e continueranno ad effettuare mantenendo i tassi a breve a livelli nominali prossimi a zero (e dunque a livelli reali negativi, per la gioia di chi si è indebitato a tassi variabili e per lo sconforto di quasi tutti gli altri), possiamo chiedere a Stati Uniti e Cina di farsi carico dei nostri problemi, ma al di là di rassicurazioni generiche e dichiarazioni di principio, se non come misure compensative dopo una guerra e a fronte di un valore strategico dell’Italia e dell’Europa ben diverso da quelli attuali, a tali dichiarazioni non hanno mai fatto seguito impegni concreti (salvo che nella forma di sottoscrizione di titoli di stato e attività finanziarie denominate in euro o dollari, da parte di Pechino) e difficilmente se ne vedranno in futuro.

Del resto tanto Washington quanto Pechino dovranno affrontare nei prossimi anni problemi di non poco conto relativi da un lato alla necessità di ridurre un indebitamento di molto superiore (sia in valore assoluto sia in proporzione al Pil) a quello italiano (e dell’Eurozona nel suo complesso), dall’altro ad un graduale invecchiamento della popolazione (che non sembra disporre di sufficienti tutele sotto il profilo previdenziale, tanto per dire). Scartato anche questo altre vie non ve ne sono, non resta che rimboccarsi le maniche e cercare di ripartire con le nostre sole forze di italiani ed europei: non è impossibile, anche se non sarà facile stabilire costi, ripartire gli stessi, fissare obiettivi strategici degli investimenti da effettuare, decidere le relative forme di finanziamento (sostenibile), implementere riforme strutturali che riduceno la burocrazia, combattano la corruzione, introducano maggiore concorrenza nei settori ancora protetti (ma con regole uguali per tutti e possibilità di controlli per evitare che qualcuno “ciurli nel manico” ). Del resto stiamo parlando del futuro nostro e dei nostri figli, non di favole per elettori bonaccioni e forse un pochino rimbambiti come sembrano sperare che siano gli italiani (e gli europei in genere) troppi esponenti della nostra classe dirigente.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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