Mercati finanziari a dir poco ballerini e tali rischiano di restare almeno sino al prossimo 24 aprile. In quella data, infatti, si terrà a Riga la riunione dell’Eurogruppo che dovrebbe fare il punto sulle trattative in corso tra la “troika” Ue-Bce-Fmi e la Grecia per trovare il modo di uscire dalla procedura di bailout, o eventualmente per prolungarla ulteriormente, in parallelo all’implementazione di una serie di riforme strutturali che la “troika” (ossia in particolare la Germania, che da tempo condiziona sia la Ue sia la Bce con buona pace dell’indipendenza delle istituzioni dai singoli governi europei) ritiene indispensabili per trovare un accordo sul rimborso del debito contratto in questi anni da Atene con la “troika” stessa.
Voci e smentite continuano infatti a rimbalzare sulla stampa europea (ieri il Financial Times, oggi Die Zeit) e da qui sui mercati, di tensioni, rischi di rottura delle trattative o soluzioni “alternative” che starebbero emergendo. Oggi in particolare è stato il turno di un’ipotesi, quella che il governo di Berlino stia preparandosi a “sponsorizzare” un default greco ma al tempo stesso a fare in modo che la Bce continui a fornire liquidità alle banche elleniche, impedendo il collasso del sistema creditizio e a catena dell’economia di Atene, in cambio oltre che delle riforme di una permanenza della Grecia nell’euro.
Il rischio maggiore per Angela Merkel sarebbe dunque non solo e non tanto che Alexis Tsipras continui a menare il can per l’aia in fatto di ulteriori tagli alla spesa pubblica e maggiore “disciplina” della stessa, quanto che cedendo alle sirene, per la verità apparse finora molto poco seducenti viste da vicino, della Russia e forse della Cina il governo greco rinneghi definitivamente gli accordi sottoscritti dai suoi predecessori ed esca dall’euro. A quel punto, per tener chiusa la porta del Mediterraneo del Sud a due concorrenti certamente scomodi alla Germania sia in termini geopolitici (vedi la crisi Ucraina) sia di esportazioni, Berlino chiuderebbe mezzo occhio sulle condizioni a cui la Grecia dovrebbe sottostare pur di tenerla nell’euro, ossia pretenderebbe un’accettazione formale da parte di Atene della necessità di procedere ad ulteriori riforme, ma sarebbe pronta a un compromesso (salvo ovviamente che la Grecia non mantenga neppure questi impegni, nel qual caso l’ipotesi “Grexit” sarebbe sia pure a malincuore accettata da Berlino).
Si darebbe dunque vita a un “default controllato” (da Berlino) per evitare il peggio in assoluto, la rottura dell’euro che da tempo sembra basarsi più sull’impossibilità di uscita per i paesi in difficoltà che sull’attrattiva della valuta unica come motore di sviluppo. Ipotesi per certi versi affascinanti, per altri drammatica se si pensa a cosa possano andare incontro i greci in caso di un ulteriore default. In ogni caso allo stato un’ipotesi che resta sulla carta, perché né i trattati costitutivi dell’Unione monetaria europea né lo statuto della Bce stessa consentono di continuare a finanziare uno stato che violi gli accordi dell’eurozona o le sue banche qualora queste versino in situazione di default, tanto è vero che già oggi la Bce non acquista titoli di stato greci nell’ambito del piano di quantitative easing con cui Mario Draghi intende iniettare sul mercato fino a mille miliardi di euro da qui al settembre 2016 per far ripartire la domanda interna europea e i prezzi, tuttora minacciosamente vicini o sotto zero in quasi tutto il Sud Europa.
In compenso sinora la Bce ha erogato ulteriore liquidità alla banca centrale greca attraverso il programma di Emergency liquidity assistance (Ela), arrivando a 68,51 miliardi di euro a fine marzo (dai 65,64 miliardi di fine febbraio), liquidità che va però a tamponare la fuga dei depositi che si sta verificando da mesi (da inizio dicembre a fine febbraio i depositi delle banche greche hanno registrato deflussi per 24 miliardi di euro e anche marzo non dovrebbe aver visto sostanziali miglioramenti) e che rendono ogni giorno di più probabili l’introduzione di vincoli alla libera circolazione dei capitali, se non si troverà la quadratura del cerchio. Un “default controllato” che dovesse bloccare quest’ultimo, per quanto tenue, sostegno alla Grecia e alle sua banche rischierebbe di trasformarsi in un default in stile Argentina, il che in un paese già provato da quattro anni di recessione potrebbe avere conseguenze imprevedibili (anzi, prevedibilissime e negative).
Così alla fine il buon senso dovrebbe indurre tutti a trovare un accordo sacrificando presunti “sacri principi” in nome di una maggiore praticità. Anche un usuraio sa del resto che un debitore morto è un debitore che non rimborserà mai più il suo debito, l’importante è che il debitore capisca che non può contare solo sull’avversione per la perdita del suo creditore, perché arriverà un punto in cui comunque le posizioni saranno così compromesse che con un abbattimento del residuo valore contabile la perdita è sopportabile e forse persino utile come “esempio” per coloro che fossero intenzionati a imitare l’esempio e giocare troppo col fuoco. Allo stato gli aiuti russi e cinesi non si sono materializzati, l’euro si è già fortemente svalutato (è ai minimi degli ultimi 12 anni sul dollaro), la Bce pare in grado di contenere il “contagio” evitano che troppe banche europee possano fallire in caso di default-bis di Atene con o senza uscita dall’euro.
Tsipras dovrebbe essere consapevole sia della propria debolezza sia dell’avversione dei suoi creditori verso ulteriori perdite che si rifletterebbero in un danno alle rispettive economie. Speriamo che la consapevolezza prevalga e un accordo, sia pure dopo negoziati già ora protrattisi fin troppo, sia trovato, altrimenti per i greci sarebbe forse meglio abbandonare la nave, lasciando ad altri paesi, Italia per prima, il rischio di dover scegliere se impegnarsi per raddrizzare la barca o trovare rapidamente una scialuppa di salvataggio (che nel nostro caso non basterà per tutti, visto le dimensioni del nostro debito pubblico, la debolezza della domanda interna dopo anni di “cura letale” tedesca e lo stato precario dei bilanci delle nostre banche). Decisamente di motivi per essere nervosi i mercati ne hanno a sufficienza, stupisce semmai l’apparente calma con cui i governi europei provano ad affrontare la situazione: di crisi che non esistevano prima di deflagrare in faccia a chi ne negava l’esistenza ne dovrebero avere viste abbastanza, anche di recente, per non aver imparato la lezione. O no?