Se giovedì le borse avevano tremato per il diffondersi dell’ipotesi che la Germania stia ormai seriamente pensando di “pilotare” un default greco, in cambio della permanenza di Atene nell’euro, ieri le vendite sono fioccate, soprattutto sui titoli bancari, che molto hanno corso in questi mesi ma che tecnicamente parlando non dovrebbero correre rischi, stante il “cordone sanitario” steso dalla Bce, che è pronta ad acquistare bond a piene mani dalle banche almeno per mille miliardi, cifra sufficiente a ricomprare tre volte il debito greco (circa 330 miliardi di euro in tutto, di cui solo il 15% in mano al settore privato, mentre un 65%, circa 215 miliardi, è rappresentato dagli aiuti dati dai governi di Eurolandia tramite il fondo Esm o con accordi bilaterali e il restante 20% da Fmi e Bce).
A peggiorare le cose il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha fatto sapere, nei suoi tradizionali incontri di primavera in corso a Washington che non accorderà alla Grecia, dove intanto tornano a scoppiare manifestazioni di piazza, alcuna dilazione di pagamento rispetto alle scadenze del mese prossimo, non avendolo mai fatto negli ultimi 30 anni e al tempo stesso di non aspettarsi più “che la Grecia sia il paese che cresca di più nell’Eurozona nel 2016”. Due precisazioni legate al tentativo informale che avrebbe fatto Janis Varoufakis di guadagnare ulteriore tempo per destinare una parte delle sue scarse risorse al sostegno della crescita anziché al rimborso dei prestiti ottenuti dal Fmi. Si noti che finora il Fondo monetario internazionale parlava di un Pil in crescita del 2,5% quest’anno (come la Spagna) e del 3,7% nel 2016 e che nonostante questo già nell’agosto del 2013 prevedeva per la Grecia un deficit di bilancio da 11 miliardi di euro a fine 2015.
Deficit legato da una parte all’assenza di quelle riforme “strutturali” che da tempo la Ue chiede alla Grecia, dall’altra all’acuirsi della crisi dovuto alle (poche o tante che siano state) misure di contenimento della spesa pubblica e di austerità fiscale già varate dal 2010 allo scorso anno e che ora Tsipras e Varoufakis vorrebbero ammorbidire quanto meno per quel che riguarda il crono programma, ottenendo dai creditori (“club di Bruxelles”, “troika” o “autorità” che dir si voglia) qualche dilazione e ulteriore sconto o anche un nuovo (terzo) programma di aiuti. Attorno a questo punto le discussioni ruotano vanamente da due anni, visto che l’Fmi pare propenso ad accettare una svalutazione del debito greco, ritenendo altrimenti irrealistico l’obiettivo di avere un debito/Pil non superiore al 120% (attualmente supera il 175%) per il 2020, mentre la Germania (e dunque la Ue) non ne vuole sentir neanche parlare.
Ma quanto rischia l’Italia da un eventuale nuovo default della Grecia? Le banche italiane a fine settembre scorso erano esposte per poco più di 900 milioni di euro verso titoli greci, ma l’esposizione del paese è molto più ampia, pari a circa 40 miliardi (dietro solo alla Germania, esposta per 60 miliardi, e alla Francia, esposta per 46 miliardi) attraverso prestiti bilaterali e la propria quota di finanziamento dei prestiti concessi dal fondo “salva stati” europeo Esm, oltre che, sempre “pro quota”, attraverso i finanziamenti concessi dalla Bce. Se poi si guarda alla liquidità d’emergenza che la stessa Bce (di cui l’Italia è “socia” al 12,3%) sta continuando a concedere alla banca centrale greca perché la giri, su richiesta, alle banche elleniche colpite dalla corsa agli sportelli (in tutto si era arrivati a 68,51 miliardi di euro a fine marzo) è chiaro che il “rischio Grecia” sta oggettivamente aumentando giorno dopo giorno, anche se sta passando da mani private (le banche) a mani pubbliche (il Tesoro).
E’ dunque interesse anche dell’Italia (e dei suoi contribuenti) sperare che un accordo si trovi, altrimenti il rischio è che per evitare ulteriori sofferenze ad Atene a ritrovarsi con ulteriori prelievi fiscali siano (assieme a francesi e tedeschi) soprattutto gli italiani. C’è infine un ulteriore problema: sarà stata solo una mossa tattica ma ieri il ministro delle Finanze greco avrebbe incontrato, secondo quanto riporta la stampa italiana, Lee Buchheit, avvocato d’affari partner dello studio Cleary Gottlieb che ha già seguito la ristrutturazione del debito greco del 2012 e prima ancora quella dell’Islanda del 2011 e quella del Messico nel 1982.
Se Atene giocasse d’anticipo e dichiarasse default, in modo che Alexis Tsipras possa tornare alle urna chiedendo agli elettori un nuovo e ancor più solido mandato per difendere la Grecia dalla prepotenza dei partner internazionali intenzionati a "strangolare" il paese, il mercato inizierebbe a chiedersi a chi potrebbe toccare la volta successiva e a ben guardare i paesi dall’economia scricchiolante e dal debito imponente sono solo due: Spagna e Italia. Indovinate chi dei due rischia di più, nel caso?