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Opinioni

Governo contro Benetton: perché è stata una battaglia finta (e perché la partita vera inizia ora)

Il governo esulta perché ha estromesso i Benetton dalla gestione di Autostrade per l’Italia. Ma la Borsa premia Atlantia, attuale proprietaria di Autostrade. Qualcuno si è fatto fregare, o hanno vinto entrambi? Più facile la seconda ipotesi. Ma ora si apre un’altra partita ancora: chi si prenderà le autostrade italiane? Ombre cinesi all’orizzonte.
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Raramente accade che al triplice fischio in chiusura di una partita esultino per la vittoria entrambe le squadre. Eppure, questo è quel che sta accadendo nella partita tra il governo italiano e Atlantia, la holding controllata dalla famiglia di Benetton che a sua volta controlla Autostrade per l’Italia. Esultano il governo e la maggioranza, con le autostrade che torneranno di proprietà pubblica attraverso l’uscita di Benetton e l’ingresso al 51% di Cassa Depositi e Prestiti. Ed esultano pure i Benetton, con il titolo di Atlantia che vola in Borsa.

Delle due, una. O qualcuno tra Conte e i Benetton si è fatto fregare, e ancora non l’ha capito. Oppure abbiamo assistito a un incontro di wrestling in cui i due contendenti hanno solo fatto finta di minacciarsi e combattere, arrivando a una soluzione che mette tutti d’accordo.

A naso, pur con tutti i dubbi e i punti ancora aperti che il comunicato del consiglio dei ministri non chiarisce, propenderemmo per quest’ultima ipotesi. Per i Benetton, dopo il disastro del ponte Morandi e nell’imminenza di una crisi dell’economia mondiale, perché escono da Autostrade nel momento migliore possibile, e alle migliori condizioni possibili. Per il governo e la maggioranza che lo sostiene, perché non c’era che la strada della nazionalizzazione per uscire dall’impasse, e da irrealizzabili minacce di revoca della concessione.

Partiamo dai Benetton. Che no, non si sono salvati dalla revoca della concessione e dal fallimento, semplicemente perché la revoca, a dispetto dei titoli di giornale, non è mai stata una pistola carica sul tavolo delle trattative. Difficile, se non impossibile, che il governo, per fare un dispetto ai Benetton, facesse fallire una società, Atlantia, di cui la famiglia di Ponzano Veneto possiede solo il 30%, e il cui 45% delle azioni è detenuto da piccoli e grandi investitori di mezzo mondo. Ancor più difficile, che Conte si prendesse il rischio di dover scucire 23 miliardi ai Benetton, così come paventava l'Avvocatura di Stato.  

Più verosimile è pensare che i Benetton abbiano tutto l’interesse a farsi liquidare a un buon prezzo il loro 88% di Autostrade per l’Italia – stando alle ultime valutazioni, parliamo di 8-10 miliardi contati male – per reinvestirli altrove in una fase del ciclo economico in cui si potrà comprare a prezzi di saldo. Oppure per ripagare almeno in parte i 38 miliardi di debiti accumulati dalla stessa Atlantia – 23 miliardi di prestiti obbligazionari e 17,5 miliardi di finanziamenti -, magari quelli con le banche. Del resto, come è messo nero su bianco nel comunicato stampa successivo al consiglio dei ministri di ieri notte, è proprio Atlantia ad aver proposto al governo di cedere tutta e subito la propria partecipazione in Aspi. Qualcosa vorrà pur dire.

Altrettanto verosimile è pensare che il governo non abbia particolari problemi a concedere ai Benetton quel che vogliono. Un po’ per liberarsi di soci in affari diventati ingombranti dopo il crollo del Ponte Morandi. Un po’ per collocare in Borsa le azioni di Autostrade per l’Italia a un prezzo più alto. Un po’ – guardiamo un po’ avanti – perché le infrastrutture italiane potrebbero diventare una preda ambita per le grandi potenze globali, in un’epoca di ridefinizione degli assetti dell’economia globale. Senza alimentare alcuna dietrologia, ricordiamo che in Autostrade il 5% è già oggi detenuto dalla Silk Road Fund, un veicolo finanziario di proprietà della Repubblica Popolare Cinese. E che il restante 7% circa è in mano alla Appia Investiments Srl, che altro non è che un consorzio tra la tedesca Allianz Group e la francese Edf.

Cinesi, tedeschi, francesi, già. Quella che oggi sembra una baruffa mediatica, o uno scontro interno alla maggioranza Pd-Cinque Stelle potrebbe diventare presto una partita geopolitica di importanza fondamentale per il controllo delle infrastrutture europee. Le polemiche mai sopite sulla Belt and Road Initiative cinese, di cui noi siamo il partner europeo più pesante, e gli appetiti cinesi sui porti italiani potrebbero essere presto argomento di discussione sui tavoli europei. E magari, chissà, pure merce di scambio per un’Italia bisognosa di soldi, investimenti e linee di credito.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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