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Opinioni

Goldman Sachs contro corrente su tassi e petrolio

A Goldman Sachs piace andare contro corrente: mentre avverte che i mercati sono vulnerabili alle decisioni della Federal Reserve sui tassi non esclude una caduta delle quotazioni petrolifere fino a 20 dollari al barile. I due eventi sono colleati tra loro e possono produrre effetti anche per gli automobilisti e contribuenti italiani…
A cura di Luca Spoldi
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Goldman Sachs ama andare controcorrente: mentre il mercato sembra tranquillizzarsi circa il (moderato) rischio di un rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve già domani sera, un report della banca d’affari avverte che i mercati sono vulnerabili perché nessuno sembra tenere in considerazione un possibile rialzo (al momento il mercato esprime nei rendimenti dei bond una probabilità implicita del 30% a favore di un primo rialzo dello 0,25% il 17 settembre, ovvero del 70% contro tale ipotesi) e in più, avverte ancora Goldman Sachs, anche tra i banchieri centrali sembra esservi una mancanza di consenso, il che potrebbe portare i membri del board della Fed ad attendere ancora prima di decidere una qualunque mossa.

Ma non è solo sui tassi che Goldman Sachs in questi giorni ha assunto una posizione “contrarian” rispetto al comune sentiment di mercato. Anche nel caso del petrolio la banca d’affari americana ha spiazzato tutti e mentre l’opinione prevalente parla di quotazioni destinate a restare sì depresse a lungo, ma probabilmente non molto distanti dai livelli attuali (attorno alla fatidica soglia dei 45 dollari al barile), gli esperti di Goldman Sachs hanno scritto nero su bianco che, sebbene non sia lo scenario più probabile (che poi sarebbe quello di prezzi pari a 38 dollari al barile nel giro di un mese, a 42 dollari entro tre mesi, a 40 dollari da qui a sei mesi e a 45 dollari tra un anno, ossia quotazioni zigzaganti sotto o al massimo alla pari con le quotazioni correnti), non si può escludere che si tocchino i 20 dollari al barile.

Questo significherebbe prezzi della benzina in ulteriore calo in tutto il mondo o quasi. Peccato che, complice il pesante carico fiscale, con 1,71 euro per litro di costo medio riferito al secondo trimestre dell’anno la benzina venduta nel “bel paese” sia risultata la terza più cara al mondo (battuta solo dai prezzi medi della Norvegia, 1,86 euro al litro, e di Hong Kong, 1,82 euro al litro) e che difficilmente le cose per gli automobilisti (e contribuenti) italiani possano migliorare di molto a breve. Ma da cosa dipenderà l’andamento futuro dei prezzi del petrolio (e quindi della benzina, almeno per quanto riguarda la componente industriale del prezzo) e in particolare la loro eventuale ulteriore caduta?

La fragilità delle quotazioni petrolifere non sono da Goldman Sachs direttamente collegate all’ipotesi di un rialzo dei tassi Usa (che pure rafforzando il dollaro, valuta in cui i prezzi del petrolio e di molte altre materie prime sono espressi, finisce col giocare contro le quotazioni stesse), quanto alla constatazione che l’attuale fase di eccesso di produzione rispetto ad una domanda che pure sta molto lentamente crescendo è destinata a durare quel tanto che basterà per ridurre stabilmente lo squilibrio, in particolare attraverso una riduzione della produzione dei produttori non-Opec (a partire dai produttori di shale oil americani).

A dare una mano a questa ipotesi sono giunte l’altro ieri le nuove stime della stessa organizzazione viennese, che ha tagliato di 110 mila barili al giorno la previsione relativa alla produzione non-Opec per il 2016, peraltro vista ancora in lieve rialzo rispetto ai livelli di quest’anno. La produzione di produttori di paesi come Stati Uniti, Canada, Russia e Brasile è ora vista in crescita nel 2016 di “soli” 160.000 barili al giorno a 57,6 milioni, con i soli produttori statunitensi che secondo l’Opec produrranno circa 13,9 milioni di barili al giorno (103 mila meno della precedente stima), mentre la produzione Opec dovrebbe crescere l’anno venturo di circa 170.000 barili al giorno.

Questo rispetto ad una produzione di agosto di 31,54 milioni di barili al giorno (dopo che l’Arabia Saudita ha tagliato la propria produzione di 96.500 barili al giorno a 10,3 milioni di barili, il minimo da febbraio) ma anche rispetto ad una domanda di petrolio Opec che si prevede ora pari a 30,3 milioni di barili al giorno (200 mila barili al giorno più delle precedenti stime), ossia circa un milione di barili al giorno in più della domanda media di quest’anno.

Gli squilibri, insomma, appaiono destinati a persistere, complice anche la recessione che ha colpito la Russia e il Brasile quest’anno (e che per il prossimo anno si prevede continui a interessare il Brasile) e il rallentamento della crescita della Cina, ma del resto è proprio questo che può indurre ad una riduzione strutturale della produzione attraverso la chiusura degli impianti con costi estrattivi più onerosi. Su questo scenario potranno impattare una serie di esogene come tensioni geopolitiche e andamento climatico, ma soprattutto i tassi: coerentemente all’allarme lanciato da Goldman Sachs, sarà la Federal Reserve che potrebbe con le sue decisioni condizionare anche il mercato del petrolio.

Se la banca centrale americana rinvierà a ottobre, o finanche a inizio 2016, il primo rialzo e se questo sarà contenuto e non verrà seguito a breve distanza da ulteriori incrementi, il mercato potrebbe reggere e, forte anche del supporto fornito dai programmi di quantitative easing destinati a proseguire in Eurolandia e in Giappone, potrebbe rapidamente lasciarsi alle spalle i timori legati alla politica monetaria statunitense.

Se invece la Fed decidesse di dare una “stretta più vigorosa o lasciasse intendere che siamo solo all’inizio di una serie di rialzi destinati ad essere implementati nel corso del 2016, vi è il rischio di assistere a nuovi deflussi di capitali dai mercati emergenti, un calo o comunque una crescita molto contenuta delle quotazioni petrolifere e un persistere dello squilibrio tra domanda e offerta. E forse a quel punto anche gli automobilisti italiani potranno iniziare ad apprezzare qualche sconto più consistente, incrociando le dita che tale decisione non rallenti eccessivamente la crescita Usa e mondiale e non finisca col riportare in recessione anche la fragile Italia.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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