“Ad aprile c’è stato un calo occupazionale come non se n’erano visti durante la crisi 2008-2012. Com’è potuto accadere, se fino al 16 agosto, in teoria, non si può licenziare?”. Andrea Garnero è economista del lavoro presso la Direzione per l'Occupazione, il Lavoro e gli Affari Sociali dell’Ocse e questa domanda è la pietra angolare da cui bisogna partire per provare a tratteggiare la pandemia dei senza lavoro che sta per abbattersi sull’Italia. Una pandemia, secondo Garnero, che è già cominciata. E che i dati sulla disoccupazione diffusi dall’Istat non rivelano, se non in controluce: “Per capire cosa sta succedendo bisogna andare al di là dei numeri sui disoccupati e guardare anche chi è diventato inattivo, ossia ha smesso di cercare lavoro, chi è occupato solo sulla carta, perché si trova in cassa integrazione totale, chi è il cassa integrazione parziale, chi sta lavorando part time- spiega Garnero a Fanpage.it -. Queste situazioni, tutte assieme, sono colte solamente dal numero di ore lavorate, l’unico indicatore che dovremmo davvero guardare”.
È un indicatore, spiega Garnero, che avremmo dovuto guardare anche lo scorso anno, quando celebravamo il numero record di occupati dal 1977, anno zero delle serie storiche: “Se l’avessimo fatto – continua Garnero – ci saremmo accorti che il numero di ore lavorate non aveva nemmeno recuperato i livelli antecedenti la crisi del 2008”. Forse avremmo posato i calici. Forse ci saremmo accorti dei tanti, troppi part time involontari, più che raddoppiati in meno di un decennio. O dei cosiddetti “contratti pirata” – che derogano dal contratto nazionale del settore e che offrono salari e diritti ben al di sotto del minimo sindacale – passati nello stesso arco di tempo da poco più di 300 a quasi 800: ”Questi saranno gli assi su cui si muoverà il mercato dei lavoro nei prossimi anni – chiosa Garnero -. Lavoreranno meno persone, per meno tempo e per meno soldi”.
Tutto questo vale per il mondo – quello Occidentale, perlomeno -, ma per l’Italia vale ancora di più: “Problemi ce ne saranno ovunque, basti guardare i grafici della disoccupazione negli Usa per rendersene conto – argomenta Garnero -. Noi però siamo ancora più deboli di loro: abbiamo un bilancio pubblico poco solido, difficoltà ventennali nel mercato occupazionale, produttività bassa, Pil stagnante. In più, siamo un’economia che si riprende molto lentamente, di solito. Speriamo sia diverso, ma non ci sono troppi elementi che autorizzano a pensarlo”. Se questo è il passato, presente e futuro possono solo peggiorare, anche se Garnero non crede ai 2 milioni di occupati in meno entro fine anno di cui ha parlato il presidente di Fondazione Adapt Francesco Seghezzi sempre su Fanpage.it, qualche giorno fa: “L’aggiustamento sulle ore di lavoro non si farà sul numero di occupati, ma su lavori da meno ore – continua -. Dal punto di vista dei salari, non ci saranno rinnovi contrattuali generosi. Anche perché adesso si discute se ad agosto si potrà lavorare o meno. Ma la vera domanda è se ad agosto ci sarà qualcuno disposto a comprare il frutto di quel lavoro”·
Già, agosto. Il mese in cui, in teoria, dovrebbe terminare la cassa integrazione di cui oggi usufruiscono quasi 8 milioni di persone, e il blocco dei licenziamenti deciso dal governo guidato da Giuseppe Conte. In teoria, perché proprio ieri dagli Stati Generali di Villa Pamphilj Conte ha promesso ai sindacati “almeno” altre 4 settimane di cassa. Almeno, perché le indiscrezioni parlano di altri 4 mesi di cassa e blocco, fino a San Silvestro: “La cassa integrazione è stato uno strumento messo in campo in tantissimi Paesi Ocse: 33 su 37, per la precisione, hanno adottato misure che a vario titolo ricordano quelle italiane”, spiega Garnero. Un errore? No, assolutamente: “La cassa integrazione è uno strumento utile quando si affronta una crisi temporanea come questa – continua -. A chiudere, del resto, sono state imprese sanissime, che non avrebbero mai licenziato se non ci fosse stato il lockdown”. Però. “Però bisogna immaginare una via d’uscita. Il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che non si può pensare di statalizzare i salari per sempre. E che bisogna trovare una via d’uscita. Anche perché altrimenti a farne le spese sarà la forza lavoro”.
Il perché è presto detto: “A lungo andare la cassa integrazione e il blocco licenziamenti possono diventare una trappola per il lavoratore – dice Garnero -. Significa rimanere due anni a casa senza lavoro, senza formazione, senza possibilità di avere un’altra occupazione regolare e con meno soldi in busta. Dopo due anni cominci a lavorare, se ci riesce, in un mondo nuovo, con nuovi mercati, nuove competenze da imparare, forse anche con una nuova impresa”. E non è finita qui: perché c’è ancora quella domanda iniziale che fa capolino, nel ragionamento di Garnero: perché ad aprile è crollato il numero degli occupati se non si poteva licenziare? “Semplice, perché non basta vietare i licenziamenti se le imprese non rinnovano contratti temporanei e non assumono. Per legge si è chiusa la porta di uscita e contemporaneamente si è chiusa la porta d’entrata. Il costo s’è scaricato al margine del mercato del lavoro, tra le categorie più vulnerabili: giovani, disoccupati, precari. Con tutta la buona volontà questa non può essere la soluzione”. No, decisamente no.