Giornata all’insegna del “non” a Piazza Affari, in rialzo a fine seduta del 2,5% grazie alla sempre più probabile “non vittoria” del partito pro Brexit al referendum del 23 giugno in Gran Bretagna, in previsione della quale le banche centrali erano pronte a varare un “cordone sanitario” fatto di ulteriori iniezioni di liquidità e di tassi sotto zero per un periodo di tempo sempre più prolungato, quasi fosse (sempre che non sia già, come alcuni sospettano) una “nuova normalità”, che penalizza tanto più quanto più detiene capitali in forma liquida o cerca impieghi a rischio basso sul lungo periodo, come le banche, le assicurazioni o i fondi pensione.
Ma il “non” è anche la cifra di due della notizie che hanno ravvivato la giornata sul fronte societario: da un lato “non scalda” gli animi degli investitori il rilancio di Cairo Communications (terminata a 4,33 euro per azione, in crescita dello 0,60%, con appena 86 mila titoli scambiati) su Rcs Mediagroup (in calo a 76,75 centesimi per azione, -1,73%, con poco più di 7 milioni di pezzi passati di mano), con l’innalzamento annunciato venerdì a mercati chiusi del concambio offerto da 0,12 a 0,16 azioni Cairo per ogni titolo Rcs che venisse apportato all’Opas in corso, il cui periodo di adesione è stato esteso per allinearlo a quello della proposta rivale di Investindustrial.
Al momento l’offerta di Urbano Cairo vale poco meno dei 70 centesimi per azione (69,28 centesimi di euro per essere precisi) offerti da Investindustrial e circa un 10% in meno delle quotazioni di borsa di Rcs, ma Investindustrial potrebbe rilanciare, entro venerdì, e in molti scommettono che lo farà alzando la posta a 80-85 centesimi per azione, valore che il Cda dell’editore del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport potrebbe trovare “congruo” e che probabilmente metterebbe fine ai giochi, dato che Urbano Cairo, che pure si prepara a varare, se sarà necessario, un aumento da 70 milioni di euro di Cairo Communications, si sussurra per far spazio ad un investitore istituzionale (forse un fondo sovrano) trovato grazie ai buoni uffici di Intesa Sanpaolo, difficilmente vorrà rilanciare una seconda volta.
Del resto già ora per “giustificare” il rilancio Cairo ha dovuto promettere una fusione tra i due gruppi editoriali entro 12-24 mesi dalla conclusione (positiva) dell’Opas e predisporre piani industriali basati su ipotesi di crescita sia di Cairo Communication sia di Rcs ritenute molto “aggressive” dagli analisti di Piazza Affari (un Ebitda 2018 di 46 milioni di euro per Cairo, il 35% oltre le stime di consenso, ed uno implicito di Rcs di 170 milioni, giustificati il primo da una crescita della raccolta pubblicitaria tv e il secondo da sinergie, in entrambi i casi non meglio giustificate).
Ancora all’insegna del “non” anche le novità che giungono da Autogrill: il gruppo, controllato dalla famiglia Benetton, ha fatto sapere che non intende rinnovare tutte le concessioni in scadenza a fine mese in Italia. In tutto si tratta di 160 aree di servizio distribuite tra la rete Autostrade per l’Italia (53), l’Autostrada Brescia-Padova (17), l’Autostrada del Brennero (20) e le Autovie Venete (16). Le gare sono già in corso e l’esito dovrebbe essere noto la prossima settimana; finora gli analisti prevedevano che Autogrill ottenesse la conferma di un 70%-75% delle concessioni in scadenza, a cui sono legati ricavi stimati in circa 250 milioni di euro nel 2016 e almeno altri 50 milioni nel 2017.
Il gruppo però ha annunciato che rinuncerà a parte delle 100 aree in scadenza dove già si trovano le sue insegne per concentrarsi, con un approccio maggiormente selettivo, su gare ritenute più interessanti. Perché questo improvviso raffreddamento di interesse per l’Italia? Non certo per l’andamento del traffico, che anzi è in crescita con un volume di auto e camion che dai minimi di 75 milioni di chilometri percorsi nel 2013, è risalito a 79,4 milioni di chilometri percorsi nel 2015, mentre in parallelo Autogrill ha riportato un aumento delle auto in transito sulla rete dei suoi punti vendita del 3,2% nel solo 2015, con un incremento però meno che proporzionale (+0,9%) del fatturato realizzato nei punti di ristoro.
Merito (o colpa, a seconda dei punti di vista), della concorrenza: Chef Express, controllata del Cremonini, presente oggi con 40 punti di ristoro, punta a raddoppiare la sua quota di mercato dal 10% al 20%, mentre anche Sarni, oggi presente con 82 punti vendita e My Chef della francese Elior, attiva con 20 punti vendita, non fanno mistero di voler crescere. Prima che impegnarsi in una gara di rilanci Autogrill concede dunque spazio e si concentra sulle sole aree più redditizie, per le quali ha quindi senso rilanciare. In fondo una piccola grande novità, per un mercato solitamente chiuso come quello italiano. L’Italia dei salotti e degli oligopoli sta realmente cedendo il passo a un’economia di mercato, dai media alla ristorazione? Speriamo.