Antonella Mansi – Alessandro Profumo: 1-0 alla fine del primo tempo. Per ora il risultato della partita da tempo in corso tra il presidente di Fondazione Mps e il presidente di Banca Mps (nonché ex amministratore delegato in Unicredit) viene letto da analisti e operatori di borsa come favorevole all’imprenditrice senese, vicepresidente di Confindustria per l’Organizzazione che è riuscita a pescare il classico “jolly” dal mazzo approfittando del momento favorevole dei mercati per ridurre la partecipazione di Palazzo Sansedoni nel capitale della terza maggiore banca italiana senza eccessivi danni. Una nota di Fondazione Mps, su richiesta della Consob, ha confermato l’avvenuta “vendita “a mercato chiuso” di 1,4 miliardi di azioni Mps, pari all’11,98%” aggiungendo che considerando anche le vendite effettuate sul mercato telematico azionario sempre ieri e nelle giornate precedenti “la quota detenuta dalla Fondazione Mps nella banca conferitaria è oggi pari al 15,07%”.
Il ricavato delle vendite, che la nota non precisa, “è prioritariamente destinato alla totale estinzione del debito residuo nei confronti dei creditori finanziari”. La percentuale collocata dalla Fondazione appare dunque superiore all’8,5% che secondo voci diffusesi ieri sera Morgan Stanley era stata incaricata di collocare a fine seduta, titoli che sarebbero stati sottoscritti ad un prezzo medio di poco inferiore ai 23,4 centesimi per azione per un controvalore complessivo di circa 234 milioni di euro. Un prezzo appena inferiore ai 24 centesimi per azione a cui la Fondazione aveva svalutato i titoli ancora in suo possesso nell’ultimo bilancio: se lo stesso valore fosse applicato a tutti i titoli ceduti, Palazzo Sansedoni potrebbe aver ricavato attorno ai 330-335 milioni di euro, sufficienti a estinguere il debito residuo, nel frattempo già calato attorno ai 300 milioni dai 339 milioni di fine 2013.
Un “happy ending” di una situazione che la Mansi, molto vicina al presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e politicamente ritenuta equidistante da Pd e Pdl, aveva ereditato al momento del suo insediamento ai vertici della Fondazione nel settembre dello scorso anno succedendo a Gabriello Mancini. Una situazione “per nulla felice” come chiosa la stampa internazionale, visto che all’epoca nelle casse della Fondazione c’era il 33,5% di Mps ma il titolo quotava attorno ai 21 centesimi per azione. Troppo pochi perché la Mansi potesse accondiscendere alle richieste di Profumo di varare in tutta fretta, a inizio anno, un aumento di capitale da 3 miliardi superiore alla capitalizzazione di borsa (all’epoca attorno a 2,5 miliardi, oggi risalita di un 15% abbondante sopra i 2,87 miliardi).
Lo scontro, durissimo, con Fondazione che all’ultimi assemblea proponeva e otteneva un rinvio dell’operazione nella seconda “finestra” individuata, ossia non prima di metà maggio, e il top management dell’istituto era arrivato a far ipotizzare un’uscita di Profumo e dell’amministratore delegato Fabrizio Viola che temevano un calo delle quotazioni e il disimpegno del consorzio di collocamento e garanzia (composto da Ubs, Citigroup, Goldman Sachs, Mediobanca, Barclays, Bank of America Merrill Lynch, Commerzbank, Jp Morgan, Morgan Stanley e Societe Generale) se l’operazione non fosse partita al più presto. Ipotesi non peregrina, visto che non sarà solo Mps impegnata a raccogliere mezzi freschi sul mercato nelle prossime settimane/mesi (anzi, il controvalore totale delle operazioni annunciate finora sfiora gli 8,5-9 miliardi di euro) e dunque muoversi tardi poteva (e potrebbe ancora) voler dire pagare un costo più elevato.
Il mercato, che con Profumo ha sempre avuto un rapporto oscillante tra l’adorazione incondizionata per i risultati ottenuti e l’avversione per le spigolosità del carattere del manager e gli strascichi di polemiche che si è lasciato dietro in questi anni, è parso in un primo momento dare ragione al banchiere, tanto che le quotazioni di Mps erano tornata a scendere sino sui 16,5 centesimi per azione a inizio febbraio (pericolosamente vicino a quei 12,8 centesimi sotto i quali sarebbe scattata automaticamente l’escussione del pegno da parte della banche creditrici di Fondazione Mps, in parte coincidenti con le banche impegnate nel consorzio per l’aumento), prima di invertire la rotta e rimbalzare con decisione. Il tutto mentre voci e indiscrezioni parlavano di “manovre” di borsa a sostegno o contro il titolo stesso, voci che non mancano mai nel caso di operazioni straordinarie e che nel caso in questione si sono incrociate con quelle sui possibili nuovi soci.
Già, i nuovi soci: chi sarà stato a comprare l’8,5% o il 12% lo si saprà solo tra qualche giorno, nel caso un singolo investitore abbia acquistato oltre il 2% del capitale di Montepashi. Per ora di certo c’è solo che la banca assomiglia sempre più a una “public company”, con gli Aleotti che dal 4% sono scesi pochi giorni fa sotto l’1% (e potrebbero nel frattempo avere anche azzerato la quota), Fondazione Mps che dal 29,99% è ormai al 15% e secondo i calcoli degli analisti di Equita Sim è destinata a scivolare al massimo all’11% al termine dell’aumento di capitale sempre che vi partecipi utilizzando la cassa e i proventi della vendita parziale dei diritti, Axa destinata a rimanere al 2% (ed è l’unico socio con cui Fondazione Mps potrà sindacare le proprie azioni).
Recenti voci indicavano il fondo americano Jc Flower quale capofila di una cordata di investitori istituzionali (tra cui anche Blackstone) pronti a rilevare fino al 20% di Mps, ma stamattina qualcuno a Piazza Affari fa anche il nome di BlackRock, nelle ultime settimane già salito al 5% di Unicredit e Intesa Sanpaolo. Se ciò fosse confermato non emergerebbe per ora alcun nuovo “azionista di riferimento” in grado di prendere il posto di Fondazione Mps. Un po’ come nel caso di Pirelli con Rosneft, insomma, il capitalismo “di relazione” italiano sarebbe riuscito a prendere ancora tempo, rendendo peraltro sempre più evidente una verità incontrovertibile: che senza soldi non si cantano messe, né si fanno crescere aziende o banche, pubbliche o private che siano. Sarà per quello che in attesa di vedere come andrà a finire a Milano il titolo Mps stamane continua a oscillare sopra e sotto i livelli di ieri tra volumi sempre molto elevati, con gli analisti di Equita Sim che hanno alzato a “buy” (acquistare) il giudizio sul titolo con un prezzo obiettivo di 0,31 euro ritenendo che le ultime novità ne aumentino l’appeal speculativo dato “che post aumento di capitale Mps diventa la banca più contendibile sul mercato” italiano.
Più a lungo termine occorrerà capire se la banca riuscirà a centrare l’obiettivo di un utile di gruppo di 900 milioni di euro nel 2017: gli investitori esteri sembrano crederci, per Profumo e Viola potrebbe valere un pareggio nel secondo tempo in grado di chiudere la partita con la Fondazione guidata da Antonella Mansi, che i soliti "ben informati" non danno particolarmente in sintonia col premier Matteo Renzi, dettaglio non proprio trascurabile per una banca che ancora deve rimborsare 4 miliardi di euro ai "Monti bond" (rischiando altrimenti una eventuale nazionalizzazione). Insomma: l'“happy ending” per ora resta poco o nulla scontato, ma che intanto torna a riaccendersi la speranza per un turnaround di uno dei maggiori gruppi creditizi italiani e scusate se è poco.