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Opinioni

Fitch mette l’Italia dietro la lavagna, ora che succede?

S&P’s conferma il rating sovrano italiano, Fitch lo taglia a causa dello scenario macro e dell’incertezza politica. E’ la conferma che non esiste alcun grande complotto ma che serve un governo in grado di far ripartire l’Italia…
A cura di Luca Spoldi
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L’instabilità politica e le prospettive macroeconomiche dell’Italia iniziano a pesare sui giudizi delle agenzie di rating: la prima a tagliare il merito di credito sovrano del Belpaese è stata stasera Fitch, portandolo a “BBB+” da “A-” con outlook negativo (che indica come restino possibili ulteriori ribassi del rating) a causa dall’esito “non decisivo” delle ultime elezioni politiche ma anche dei dati del quarto trimestre 2012 “che confermano come quella italiana sia una delle recessioni più profonde in Europa”. Hanno pesato sul giudizio anche le previsioni che a fine 2013 il rapporto debito/Pil possa raggiungere il 130% (le stime precedenti parlavano del 125%) e il fatto che un governo debole rischi di “essere più lento e meno capace di rispondere agli choc economici interni o internazionali”.

Gli amanti della teoria del “grande complotto” potranno ora dilettarsi per tutto il fine settimana e forse più in lunghe discussioni circa gli interessi che Fitch “protegge” con questa mossa, gli “speculatori” che avranno lucrato di più prima dell’annuncio ufficiale, le banche d’affari che si preparano a “banchettare” vendendo a prezzi di saldo “pezzi pregiati” del patrimonio pubblico e privato italiano. Se amate questo genere di amenità non perdete tempo oltre, andate ad ascoltare la trasmissione televisiva o il comizio dell’imbonitore di turno e divertitevi, siamo in democrazia come ricordava ieri il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi (secondo cui in fondo i mercati non sono stati troppo scossi dall’esito delle elezioni italiane).

Se invece amate provare a capire cosa stia accadendo in quell’universo dispettoso chiamato “realtà” che proprio non vuole saperne di piegarsi ad auspici, teorie e sogni vari sarebbe utile ricordare, come ha fatto oggi Bankitalia che la crisi (e l’incertezza, politica ed economica) sta facendo calare la domanda di credito almeno quanto la reticenza delle banche a prestare a imprese (-2,8% annuo la variazione dei finanziamenti a fine gennaio dal -2,2% di fine dicembre) e famiglie (-0,6% da -0,5%), nonostante prosegua il recupero dei depositi (+7,7% annuo da +7% di fine dicembre) che gradualmente sta riequilibrando situazioni squilibrate preesistenti, non abbastanza in fretta, aimè, per compensare l’ulteriore accelerazione della crescita delle sofferenze (+17,5% da +16,6%) e pertanto dare un minimo di spazio alle stesse banche per rifinanziare l’economia reale.

Considerando anche che i forzieri delle banche italiane (ma non solo: tanto per smentire ulteriormente i teorici del “grande complotto” sarebbe utile notare che i maggiori investitori istituzionali europei, come il fondo sovrano norvegese piuttosto che compagnie assicurative come Allianz, avevano incrementato l’esposizione verso titoli di stato italiani a fine 2012) sono pieni zeppi di bond tricolori (350,77 miliardi a fine gennaio, di cui 34,80 miliardi di Ctz, 50,43 miliardi di Bot, 55,24 miliardi di Cct e soprattutto 200 miliardi di Btp), il downgrade di Fitch se fosse imitato da altre agenzie (Standard & Poor’s ha confermato il suo giudizio ritenendo per ora ininfluente l’esito elettorale) rischia di rendere nuovamente difficile e costoso l’accesso ai mercati per il “funding” dell’attività creditizia.

La non unanimità dei giudizi sia da parte delle agenzie di rating sia dei “medici” che provano a trovare una cura efficace per la crisi in cui versa l’economia italiana (ed europea) è forse la migliore testimonianza di quanto ogni teoria “complottista” non regga e di come sia inutile addossare continuamente ad altri colpe che sono degli italiani e della classe politica e imprenditoriale che si sono dati e hanno mantenuto per decenni. Una classe “dirigente” incapace di superare il gioco di sbarramento dei veti incrociati tra le mille corporazioni italiane, che ha badato a difendere solo interessi specifici (i propri anzitutto) senza alcuna capacità di guardare al futuro del paese.

Una classe dirigente che ha cercato con ogni scusa più o meno credibile o puerile di non assumersi alcuna responsabilità, in questo perfettamente supportata da quella stessa massa di italiani che ora vorrebbe “mandare tutti a casa” e “sfasciare tutto”. Un po’ come certi bambini che richiamati all’ordine battono i piedi per terra e rompono i propri giocattoli. Almeno i bambini possono essere educati, far tornare a ragionare gli italiani e i loro rappresentanti e spingerli ad approvare riforme in grado di ritrasformare un paese sempre più buono solo più per commessi e camerieri in un paese moderno superando le attuali divisioni e vincoli (legati anche ma non solo a fisco, burocrazia e criminalità) sarà molto meno facile e, temo, molto meno indolore. Per riuscirci il primo passo è tornare in contatto con la realtà, il secondo contrattare in Europa un percorso di riaccensione della crescita fatto di un allentamento, e nel tempo di un definitivo superamento, della politica di austerity, varando al contempo quelle riforme strutturali che da tempo necessitano all’Italia. Le premesse ci sono come già detto ieri, ma i mercati non rimarranno fermi a guardare in eterno. Sprecare l’occasione sarebbe un atto criminale prima che folle.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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