Mentre le privatizzazioni vere e proprie segnano il passo come ricordato ieri, Finmeccanica prova a chiudere il dossier cessioni aperto da tempo. E’ di oggi la notizia che il gruppo guidato da Mauro Moretti, ex capo azienda di Ferrovie dello Stato (a loro volta destinate a finire sul mercato in tempi e modi ancora da definire nei dettagli), ha siglato oggi presso il ministero dello Sviluppo Economico (presente il vice ministro Claudio De Vincenti) l’accordo con King Long Italia in base al quale BredaMenarini (l’unico produttore rimasto di autobus operante in Italia) passa a Industria Italiana Autobus, Newco nella quale Finmeccanica è entrata come socio di minoranza (col 20%) e che acquisirà lo stabilimento ex Irisbus di Valle Ufita (Avellino), chiuso 4 anni fa da Fiat a causa del “drammatico” calo delle immatricolazioni, ridando così una prospettiva occupazionale tanto ai 200 lavoratori di BredaMenarini quanto ai 300 di Irisbus.
Sempre oggi, presso Villa Montevecchio, a Samarate (VA), si è tenuto un convegno organizzato dalla Fiom-Cgil intitolato “In volo verso dove?” nel corso del quale sindacati, economisti come Emilio Esposito (Università Federico II) e top management si sono confrontati sullo scenario del settore e sul nuovo assetto del gruppo che Moretti annuncerà tra poche settimane presentando, a inizio 2015, il nuovo piano industriale del gruppo. Un gruppo che sembra destinato a rimodellarsi in divisioni e non società autonome, per evitare barriere e fratture, ma anche sovrapposizioni e per sviluppare sinergie tra le diverse attività del gruppo, previa una ridefinizione del “core business” di cui non farà più parte il settore trasporti e che invece vedrà ulteriori investimenti probabilmente nel campo dell’elicotteristica e della logistica.
Del resto i dati dei primi nove mesi dell’anno parlano chiaro: il gruppo va leggermente meglio del previsto (3,31 miliardi di euro contro i 3,1 miliardi dei primi 9 mesi del 2013 e contro attese di consenso pari a 3,15 miliardi, risultato operativo in calo a 227 milioni dai 239 di un anno prima ma nella parte alta del range di previsioni di 215-232 milioni ed utile netto di 5 milioni contro una perdita attesa di 7 milioni) ma il debito resta elevato (5,439 miliardi, sia pure in calo dai 5,582 miliardi di dodici mesi prima e con una vita media di 8,2 anni) e non mancano segnali preoccupanti come il calo degli ordini del 29,3% a 2,169 miliardi su cui pesa proprio la frenata degli ordini di elicotteri. Agli analisti (in particolare a quelli di Equita Sim) non è sfuggito come Ansaldo Breda abbia ridotto ulteriormente le perdite (17 milioni di euro rispetto ai 253 milioni dello stesso periodo dello scorso anno) ma resti comunque in rosso, mentre la controllata statunitense Drs, sul cui destino all’interno (piuttosto che fuori) del gruppo restano non poche incognite, dopo l’inattesa perdita del secondo trimestre, sia sì tornata in utile, ma abbia registrato un Ros (ritorno sulle vendite) ancora inferiore alla media storica.
Dopo quello di BreadaMenarini Moretti deve dunque sciogliere quanto prima alcuni altri rebus. Uno, la cessione della stessa Ansaldo Breda, potrebbe essere risolto già nella prossime settimane, visto che lunedì sera, alla scadenza dei termini fissati per la presentazione di offerte vincolanti, era giunta l’offerta di Hitachi con la quale il gruppo ha ora avviato negoziati per definire l’operazione. Secondo indiscrezioni di stampa il colosso giapponese sarebbe pronto a scucire 1,45 miliardi di euro sull’unghia, ma vorrebbe mettere le mani anche su Ansaldo Sts. Per Finmeccanica, che dopo la quotazione del 2006 detiene ancora un 40% della società attiva nella progettazione, sviluppo e produzione di sistemi e servizi di segnalamento e supervisione del traffico ferroviario e metropolitano, potrebbe essere una buona occasione per fare cassa, per Hitachi un’occasione per entrare in un mercato, quello del traffico su rotaia, che anche in Italia dovrebbe vedere una più concreta apertura alla concorrenza già dal prossimo anno.
Insomma: con ritardi, con incertezze, con cifre che a volte si rivelano inferiori a quelle auspicate, ma in qualche modo se non le “grandi privatizzazioni” almeno le operazioni di ridefinizione dei perimetri strategici di alcuni grandi gruppi semi-pubblici come Finmeccanica. Segno che anche in Italia, con tutti i limiti e gli oneri più volte ricordati, si può ancora provare a fare impresa, persino quando la proprietà resta in larga parte pubblica. Purché la mission sia chiara: valorizzare le competenze, massimizzare gli utili o minimizzare le perdite, guadagnare nuove quote di mercato anche attraverso alleanze industriali e operazioni di finanza straordinaria asservite alla realizzazione di un piano industriale sostenibile. Il bicchiere stasera è mezzo pieno, una volta tanto, e neppure i mercati finanziari si lamentano più di tanto visto che anche se oggi Finmeccanica ha chiuso in calo del 2% (contro il -0,88% degli indici generali della borsa di Milano), il risultato degli ultimi 12 mesi resta ampiamente positivo (+38%) come pure quello dell’ultima settimana (+2,9%).