Un temporale d’agosto: così si è rivelata essere l’ipotesi, mediatica più che operativa, del supposto rischio di recesso in vista della fusione tra Fiat e Chrysler, rischio che secondo i giornali italiani avrebbe potuto anche far saltare (boom) la fusione che renderà a tutti gli effetti americano il gruppo di Lingotto. Stamane invece la stessa Fiat ha annunciato di essere “prossima a concludere il processo di determinazione del numero di azioni per le quali il diritto di recesso è stato validamente esercitato dagli azionisti Fiat e si sta preparando all’offerta obbligatoria di tali azioni agli altri azionisti Fiat al valore di liquidazione”, ricordando che costituiva “condizione sospensiva della fusione” con Chrysler “il fatto che l’ammontare complessivo da corrispondere agli azionisti che abbiano esercitato il diritto di recesso ed ai creditori che abbiano proposto opposizione alla fusione non superi il limite di 500 milioni di euro”.
Anche se si stanno ancora completando i conteggi (“Fiat prevede di completare tale processo e comunicare al pubblico il numero di azioni per le quali il diritto di recesso è stato validamente esercitato entro giovedì 4 settembre”), sulla base delle comunicazioni e delle certificazioni ricevute, è già ora possibile stabilire “che il limite di 500 milioni di euro non è stato superato”. Fiat ritiene inoltre che anche se tutte le comunicazioni e conferme ancora da abbinare fossero abbinate, “il numero massimo di azioni per le quali il diritto di recesso è stato validamente esercitato comporterebbe una esposizione complessiva inferiore al limite”. Inoltre il termine per la proposizione delle opposizioni dei creditori, ricorda sempre il Lingotto, scadrà il 4 ottobre 2014 (60 giorni dalla data del deposito del verbale dell’assemblea che ha dato il via libera alla fusione). Fiat “ritiene che non sussista alcun rischio di pregiudizio per i creditori e non prevede di conseguenza che il processo per l’opposizione dei creditori impedisca il tempestivo completamento della fusione intorno alla metà del mese di ottobre”.
La notizia fa bene al titolo che da stamane recupera terreno a Piazza Affari dove a metà seduta oscilla sui 7,55 euro per azione, in rialzo dell’1,6% circa, sui livelli di fine luglio, dopo aver visto il titolo calare fino sotto ai 6,47 euro lo scorso 7 agosto proprio per il rischio che un eventuale esercizio del diritto di recesso di ampie dimensioni potesse far deragliare la fusione. Un’ipotesi che per alcuni avrebbe anche messo una pesante ipoteca sulla permanenza al vertice di Sergio Marchionne, “l’americano” che proprio con Chrysler ha pescato il classico jolly dal mazzo evitando probabilmente che Fiat finisse con lo scomparire del tutto dalla mappa dei produttori automobilistici mondiali (quanto meno come soggetto indipendente) a causa di una troppo elevata concentrazione su mercati maturi e in piena crisi da domanda come quelli italiani ed europei e di una gamma troppo sbilanciata verso segmenti di piccola cilindrata e bassa marginalità.
Ma cosa cambierà con la fusione? Anzitutto si potrà proseguire col progetto di quotazione di Fiat Chrysler Automobiles sul Nyse di New York, a inizio anno indicato come possibile entro ottobre e poi confermato, salvo imprevisti, prima della fine del 2014. Con questa operazione in teoria il Lingotto “la possibilità di avere accesso a un maggior numero di fonti di finanziamento, sia di capitale sia di debito” come già dichiarato da Marchionne durante il Fiat Day di fine giugno a Londra. L’idea sarebbe infatti di collocare non solo titoli azionari ma anche prestiti obbligazionari, creando nell’arco di “2 o 3 anni” un mercato sufficientemente liquido per gli strumenti finanziari del gruppo così da renderli ulteriormente appetibili per gli investitori istituzionali. E poi? Molto dipenderà da come andrà il mercato dell’auto negli Usa e in Europa, oltre che dello sviluppo su mercati emergenti (a partire dalla Cina e dai mercati asiatici, sui quali nei primi sei mesi del 2014 sono state vendute in tutto poco più di 127 mila vetture, in crescita del 52% circa su base annua ma ancora poco oltre le 20 mila vetture al mese) su cui finora il gruppo è stato molto poco presente, se si escludono il Brasile (che però dà segnali di rallentamento come tutta l’America Latina, nel primo semestre calata del 10,8% a meno di 418 mila vetture vendute) e in parte l’India.
Non occorre la sfera di cristallo per ipotizzare, visto la scala degli investimenti ormai necessari per competere a livello mondiale nel settore automobilistico, che se la fortuna continuerà ad arridere a Marchionne il sostegno degli azionisti, a partire dal gruppo Agnelli, rimarrà intatto. Se invece dovessero emergere nuove difficoltà in Europa (dove nei primi sei mesi dell’anno il gruppo ha immatricolato meno di 474 mila vetture, appena sotto i livelli del primo semestre 2013) o emergere segnali di rallentamento in America (che invece continua ad essere il volano delle vendite con 1,202 milioni di vetture vendute a fine giugno, il 10,3% in più dei primi sei mesi dello scorso anno), la tentazione di passare la mano potrebbe tornare a farsi forte ed a quel punto di italiano in Fiat potrebbe rimanere ben poco, sempre che questo possa essere considerato un valore in un’economia da tempo globalizzata dove più che la bandiera contano i capitali e le idee. A quel punto si tratterà di capire se il gruppo verrà ceduto in tutto o in parte, magari scorporando qualche marchio "di nicchia" come Alfa Romeo, Maserati e Ferrari che già ora molto piacciono ad investitori industriali e finanziari di tutto il mondo.