Segnali contrastanti dal settore automobilistico europeo: se a febbraio (sesto mese consecutivo di crescita) nella Ue-28 sono state immatricolate 861.058 auto, con un incremento dell’8% rispetto allo stesso mese del 2013 in accelerazione rispetto al +6,6% del bimestre gennaio-febbraio (in cui sono state immatricolate 1.796.787 vetture), in realtà secondo quanto nota la stessa Acea nel suo comunicato si tratta pur sempre del secondo peggior risultati di febbraio di sempre (peggio era stato solo il febbraio 2013) da quando, nel 2003, l’associazione dei costruttori europei ha iniziato a tener conto delle immatricolazioni in tutti i paesi dell’Unione europea.
Al “rimbalzino”, che conferma come anche in questo settore la ripresa del vecchio continente sembra più un rimbalzo “del gatto morto” che non una vigorosa ripresa (né potrebbe essere diversamente finché la Germania insisterà con la sua linea ultrarigorista che mette in difficoltà più il Sud Europa ed in particolare l’Italia che non il Centro-Nord), hanno contribuito un po’ tutti i mercati: la Germania a 209.349 unità (+4,3%), l’Italia è risalita a quota 118.328 (+8,6%), mentre è stato un testa a testa tra Spagna (68.763 vetture, +17,8% e Gran Bretagna ( 68.736 immatricolazioni +3%), col la sola Francia che ha registrato un calo a quota 141.290 vetture (-1,4%) ma ha conservato il secondo posto dietro la Germania e prima dell’Italia nella classifica per volumi venduti.
Sui due mesi la crescita maggiore si registra in Spagna (+13,1%), frutto di una politica di incentivi alla rottamazione con la quale Madrid prova ad alimentare una ripresa oggi “mangiandosi” la ripresa futura; alle spalle della “dissoluta” Spagna (che continua a guardarsi dal far scendere sotto il 3% il deficit/Pil, tanto meno a legarsi le mani con patti di stabilità come quello siglato dall’Italia, improvvidamente, durante il governo Monti) si mette in luce la Gran Bretagna (+6,1%), sembra ripartire l’Italia (+6%) e prosegue la marcia della Germania (+5,7%). Anche in questo caso unico mercato in calo è la Francia (-0,5%).
Se questi sono i dati complessivi, il gruppo Fiat-Chrysler deve accontentarsi di un +5,6% (curiosamente il comunicato ufficiale del Lingotto cita però un dato diverso, +5,8%. Il motivo è dato dal fatto che a Torino hanno considerato l’aggregato Ue-28+Efta e non solo i 28 paesi dell’Unione Europea), con 58.050 vetture immatricolate rispetto alle 54.963 di un anno prima, che valgono una quota di mercato calata dal 6,9% del febbraio 2013 al 6,7% attuale. Intendiamoci: anche da Torino qualche motivo di soddisfazione devono avercelo, perché nel bimestre sono state immatricolate 116.604 vetture contro le 114.821 di un anno prima (+1,6%), con una quota di mercato che frena dal 6,8% al 6,5%.
Per chi non fosse avvezzo al concetto di accelerazione, il fatto che sul solo mese di febbraio il rialzo (e la quota di mercato) sia superiore a quello del bimestre significa che Torino sta lentamente recuperando parte del terreno perso, in termini di volumi, per decisione dello stesso Sergio Marchionne che ha preferito da un lato concedere meno sconti e fare minori vendite alle “flotte” rispetto ai concorrenti per tentare di preservare i margini di profitto, dall’altro non ha voluto investire con maggiore incisività nel rinnovo di gamma per non “bruciare” modelli in un momento di crisi, anche a costo di far lavorare a metà velocità gli impianti italiani ed europei.
Se poi si scende a livello di singolo marchio, nel gruppo italiano a ripartire sembra essere proprio Fiat (passata dalle 42.983 vetture di un anno fa a 45.538 unità immatricolate in febbraio, +5,9%), la cui quota di mercato oscilla sul 5,3% (dal 5,4% di un anno fa), un risultato sensibilmente migliore rispetto alle 90.394 vetture del bimestre, in crescita solo dell’1,3% rispetto alle 89.193 immatricolazioni dell’analogo periodo del 2013 (e infatti in questo caso la quota cala dal 5,3% al 5%). Anche nel comunicato Fiat si segnala come i modelli più venduti (sia all’interno del gruppo sia in assoluto nel segmento A del mercato Ue28+Efta) siano stati la Fiat Panda (14.500 immatricolazioni) e la 500 (12 mila unità), grazie in particolare al buon andamento delle vendite della 500L (oltre 6.700 immatricolazioni).
Qualche altro segnale interessante viene dal marchio Jeep, che ha visto le immatricolazioni crescere del 12,2% in febbraio toccando quota 2 mila vetture vendute (la quota di mercato si conferma pari allo 0,2%), in ulteriore accelerazione rispetto al +10,9% segnato nel bimestre con 3.989 vetture immatricolate (stessa quota di mercato), numeri comunque piccoli, come restano piccoli per quanto in crescita quelli delle vetture di lusso (Ferrari e Maserati), salite nel complesso a 506 immatricolazioni in febbraio (+224,4% rispetto alle 156 di un anno prima) e a 1.091 vetture nel bimestre (+159,1%) con una quota di mercato che riesce così a superare il traguardo dello 0,1%.
Così la reazione degli analisti è tiepida: se Credit Suisse (che su Fiat è al momento “restricted”, ossia non formula un giudizio, l’ultimo rating essendo stato un “sell”, vendere, mantenuto dal settembre 2011 agli inizi di quest’anno) suggerisce come la Cina resti il mercato strategicamente più importante per i produttori europei, visto che con una percentuale di 76 auto ogni mille abitanti contro le 497 vetture ogni mille abitanti negli Usa, il mercato dovrebbe crescere mediamente dell’11% all’anno almeno fino al 2020, e questo potrebbe essere un problema per Marchionne che in Cina sta faticando più del previsto a trovare un partner in grado di far fare al gruppo italiano il “salto di qualità”, Bank of America – Merrill Lynch proprio oggi ha confermato il giudizio “underperform” (farà peggio dei concorrenti) sul titolo Fiat con un prezzo obiettivo di 6 euro per azione (contro i 7,96 euro della chiusura odierna in borsa), motivandolo con una generazione di cassa a livello di gruppo che rimane ancora debole.
Qualche migliore indicazione giunge per Marchionne dagli analisti di MainFirst che dopo i dati di immatricolazioni hanno alzato il prezzo obiettivo sul titolo da 6,2 a 8 euro (pur confermando a loro volta un giudizio di “underperform”), dopo aver aumentato, a seguito del recente accordo per salire al 100% di Chrysler, le stime sugli utili per azione 2014-2015 del 29% (a 0,63 euro e 1,17 euro rispettivamente). Buone notizie invece dal mercato obbligazionario, dove Fiat ha approfittato del clima da “caccia al rendimento”, che continua a dominare in Europa, collocando (tramite un consorzio composto da Banca Imi, Barclays, Credit Agricole Cib, Credit Suisse, Mediobanca, Morgan Stanley e Rbs) un bond a sette anni da un miliardo di euro al 4,75%. L’importo verrà utilizzato per rifinanziare il debito in scadenza (2,3 miliardi entro fine anno) ad un tasso che gli analisti giudicano vantaggioso, visto che il costo medio del debito di Fiat è attorno al 6,5%.
Altrettanto positivo l’accordo raggiunto coi sindacati per l’utilizzo dei contratti di solidarietà nello stabilimento campano di Pomigliano D’Arco. L’accordo, che riguarda gli operai dell’area dei servizi (i cosiddetti “indiretti”) e non gli addetti alle linee di produzione della Panda (l’area A), come hanno poi precisato dall’ufficio stampa Fiat, sarà applicato, per un anno, a circa duemila persone (su un totale complessivo di 4.500 addetti dell’impianto campano), impiegate su 800 postazioni. Secondo fonti sindacali l’accordo prevederebbe anche moduli di formazione per gli addetti coinvolti, che potrebbero così essere inseriti, in futuro, anche nell’area A. Piccoli segnali, ancora insufficienti a parlare di svolta, ma che intanto fanno sperare per un futuro meno fosco anche per gli stabilimenti italiani del gruppo.