Occhi puntati sulla Federal Reserve, che questa sera (alle 14.00 ora di Washington) annuncerà al termine dell’ultima riunione del Fomc (Federal open market committee) del 2015 se i tassi ufficiali sul dollaro, di fatto azzerati dal 2008, torneranno a salire come non accade più dal giugno 2006 o resteranno ancora per almeno un altro mese nella fascia di oscillazione zero-0,25%. (N.B.: come previsto in serata è stato poi annunciato un aumento di 25 punti base che porta la fascia di oscillazione a 0,25%-0,50%).
Il mercato da parte sua sembra aver deciso: la probabilità implicita nei prezzi dei future sui Fed Funds è pari al 79,4% per quanto riguarda un rialzo di mezzo punto percentuale e al 20,6% per un rialzo dello 0,25%. Come dire che non solo il mercato si aspetta il rialzo, come già era accaduto a fine settembre quando poi Janet Yellen e gli altri banchieri centrali americani hanno preferito prendere tempo, ma che si attende una sorta di “recupero” del ritardo, visto che a settembre le attese si incentravano su un rialzo dello 0,25%.
Sempre guardando ai prezzi delle scadenze più lunghe dei future sui Fed Funds si può già “leggere” come il mercato preveda che tra aprile e giugno possa arrivare un altro rialzo di uno 0,25% che porti i tassi ufficiali sullo 0,75%, mentre tra settembre e dicembre potrebbe giungere un ulteriore e forse ultimo (almeno per ora) rialzo che alzerebbe il tasso “target” all’1%.
Cosa cambierà per i mercati una volta che la Fed avrà dato il via al più atteso ciclo di rialzo dei tassi degli ultimi decenni? Alcuni fanno notare come visto che ci si trova in un mondo dominato da un’abbondante (eccessiva) macro-liquidità, confluita nel sistema finanziario mondiale a seguito dei diversi programmi di Quantitative easing (negli Usa ma non solo), la Fed dovrà stare attenta a usare l’opportuna serie di altri strumenti (con i rischi associati) per fare in modo che il mercato reagisca al rialzo dei tassi come desiderato dai banchieri centrali.
Gli investitori dopo stasera si chiederanno quali conseguenze potranno derivare dall’avvio di un ciclo di rialzo dei tassi non solo per gli Usa, ma per un mondo che sta ancora vivendo una disinflazione globale. L’economia globale è inoltre tuttora alle prese con varie fonti di incertezza, sia relative allo stato dell’economia cinese e all’andamento della liquidità dei mercati del reddito fisso, sia relative allo scenario geopolitico in particolare in Medio Oriente, con tutti i riflessi che questo ha con l’evoluzione della produzione e dei prezzi petroliferi (a loro volta causa di deflazione). Per questo occorrerà abituarsi, come già accade da tempo in Europa ogni volta che si riunisce la Bce, a soppesare attentamente le parole e non solo le decisioni.
Janet Yellen probabilmente già da stasera tornerà a rimarcare termini come “gradualità”, “dipendenza dai dati” o dagli “sviluppi internazionali”, una navigazione a vista come quella che da tempo sembra seguire Mario Draghi per evitare anche mosse completamente asincrone tra le varie banche centrali che possano aumentare i rischi per l’economia mondiale anzichè ridurli. Se i banchieri centrali dovessero trasformarsi improvvisamente da “colombe” a “falchi”, il rischio di una nuova crisi dei mercati e delle economie emergenti, con possibili effetti negativi per altre aree economiche che verso di esse esportano (come la stessa Europa) sarebbe alto.
D’altro canto se la Fed apparisse ancora troppo accomodante rischierebbe, oltre a causare ulteriore incertezza e nervosismo sui mercati, di far deprezzare rapidamente il dollaro e questo metterebbe un bastone tra le ruote proprio a Draghi, che la scorsa settimana si era portato avanti estendendo il Quantitative easing della Bce, anche se aveva sostanzialmente deluso le attese di chi prevedeva ulteriori consistenti tagli dei tassi o un più deciso ampliamento della quantità e qualità dei titoli acquistabili (mossa che per alcuni rifletteva oltre ai difficili rapporti in seno al board della Bce l’attesa per vedere come si sarebbe mossa la Yellen).
Nel frattempo il consiglio che si può dare è di informarsi costantemente e non dare per scontato che titoli di stato e obbligazioni (anche di tipo “senior” e di emittenti con rating eccellente) siano di per sé meno rischiose dei titoli azionari, che pure in questo periodo hanno risentito non poco della volatilità legata sia all’attesa sui tassi Usa (e delle possibili, per quanto al momento contenute, ripercussioni sui tassi in Europa), sia alla debolezza delle quotazioni petrolifere nonché alle vicende del settore bancario italiano (ed europeo).
Tre fattori di rischio che difficilmente stasera svaniranno per incanto e con cui occorrerà dunque imparare a convivere per tutto l’anno venturo, sperando che la ripresa si consolidi in Europa e in Italia al punto tale da compensare eventuali incertezze in arrivo dall’America come dall’Asia.