Era il 24 giugno scorso, poco più di un mese fa, quando il ministero dell’economia dava l’ok a garantire, attraverso la Sace, un maxi prestito da 6,3 miliardi di Banca Intesa a FCA. Una decisione, quella, che già allora scatenò polemiche: perché lo Stato italiano – si diceva – deve garantire un prestito a un’impresa americana che ha domicilio fiscale a Londra e sede legale ad Amsterdam? È passato poco più di un mese, dicevamo, e FCA ha annunciato la fusione prossima ventura con il gruppo PSA Peugeot Citroen diventando Stellantis. E nelle operazioni di integrazioni, a quanto pare, la prima vittima sarà l’indotto italiano.
A dirlo è un messaggio condiviso su Twitter dall’ex ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, messaggio in cui il capo ufficio acquisti di FCA Monica Genovese si rivolgeva ad alcune imprese dell’indotto italiano invitando loro a cessare ogni attività di ricerca, sviluppo e produzione sulla piattaforma del segmento B, quella che avrebbe dovuto produrre i nuovi modelli della 500 e di due piccoli suv a marchio Alfa Romeo e Jeep Uno stop, si legge nella mail, motivato dai cambiamenti nella piattaforma tecnologica, e non dalla cancellazione della produzione di questi tre modelli, ancora non ufficialmente comunicata.
Il rischio paventato, per le imprese dell’indotto italiane, è che la produzione di questi tre modelli – nonostante le rassicurazioni nel seguito della missiva – si sposti dalla fabbrica FCA di Thychy in Polonia alle fabbriche francesi che già utilizzano la piattaforma tecnologica CMP di PSA che sarà adottata dal nuovo gruppo. Cosa che, se dovesse avvenire, taglierebbe fuori i fornitori italiani di FCA a vantaggi di quelli francesi di PSA.
Cose che succedono, nelle fusioni. Ma che stonano con gli squilli di tromba che hanno accompagnato la concessione del prestito da 6,3 miliardi garantito all’80% dallo Stato Italiano, prestito che – si leggeva – avrebbe permesso a FCA pagare circa 10 mila fornitori italiani e a sostenere gli investimenti programmati nei diversi stabilimenti dove stanno partendo le nuove produzioni, come la 500 elettrica a Torino e le Jeep Renegade e Compass ibride "plug in" a Melfi. Quando si chiedono i soldi, ovviamente, di tagli e spostamenti della produzione non se ne parla.
Ora inizia il conto alla rovescia. Il minimo sindacale sarebbe che il governo chiedesse lumi a FCA – pardon, Stellantis -, sia nella persona del ministro dell’economia Roberto Gualtieri che attraverso Sace ha garantito il prestito, sia nella persona del ministro allo sviluppo economico Stefano Patuanelli, che dovrebbe essere informato, in un momento così difficile per la nostra economia e per il settore dell’automotive, di che morte devono morire le 10mila imprese dell’indotto FCA. Il massimo, ovviamente, sarebbe una risposta che fugasse ogni dubbio. Non dovesse arrivare, quella garanzia da 6,3 miliardi suonerebbe davvero come l’ultima beffa di quella che un tempo si chiamava Fiat.