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Eurogruppo riapre trattative: a poche ore dal default Atene fa sul serio, basterà?

Alle 19.00 sono riprese le trattative dell’Eurogruppo. Sul tavolo due nuove proposte, una dal presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, l’altra del premier greco Alexis Tsipras. La Grecia chiede nuovi aiuti per altri 2 anni, ma la Germania nicchia e a mezzanotte incombe il rischio default…
A cura di Luca Spoldi
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Ancora una giornata convulsa per i mercati finanziari, alle prese da un lato con nuovi dati macroeconomici (non particolarmente positivi quelli sull’andamento dell’occupazione in Italia, migliori del previsto quelli sull’andamento delle vendite al dettaglio in Germania, leggermente più deboli delle attese quelli in arrivo dagli Usa) dall’altro dalla notizia di una convocazione d’urgenza alle 19.00 odierne di una riunione in teleconferenza dei ministri delle Finanze europee (Eurogruppo) per discutere una nuova proposta avanzata dal presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, in continuo contatto telefonico con Alexis Tsipras e Jeroen Dijsselbloem, alla quale ha fatto seguito una controproposta ufficiale del premier greco che mira ad ottenere dall’Esm un nuovo prestito a due anni per far fronte “esclusivamente” agli oneri del debito esterno e gli obblighi interni (salari pubblici, pensioni e fornitori), mentre si tratterebbe ancora per una ristrutturazione del debito contratto con l’Efsf (140 miliardi circa) per allungarne le scadenze e ridurne il costo.

Non è finita qui, perché dopo il caos comprensibilmente causato dalla decisione di tenere chiuse le banche e la borsa greca fino al 7 luglio prossimo, con la sola deroga di un migliaio di sportello che da domani per tre giorni riapriranno in tutta la Grecia per dare modo ai soli pensionati privi di bancomat di poter prelevare fino a 120 euro questa settimana (le banche dovranno anche provvedere affinché agli stessi siano forniti bancomat con cui possano prelevare dal 7 luglio fino a 60 euro al giorno come ogni altro correntista greco) il premier greco ha anche chiesto un’estensione dell’attuale programma di bailout “per un breve periodo di tempo” così da evitare un default tecnico che scatterebbe una volta decorsa la mezzanotte odierna se Atene non provvederà al rimborso di 1,7 miliardi di euro di prestiti Fmi in scadenza (ma il rischio, come già segnalato ieri da molti analisti, è che Atene possa finire in default anche contro la Bce se il 20 luglio non potrà rimborsare prestiti per 3,5 miliardi di euro), finché un nuovo pacchetto di sostengo finanziario non sia varato.

Tutto bene e mercati che stavano già per brindare ad una ancora incerta ma a questo punto auspicata intesa della “venticinquesima ora”? Non proprio, perché dopo che alcune indiscrezioni avevano riferito come già ieri il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble in conversazioni riservate aveva iniziato a preventivare che Atene potesse comunque rimanere nell’euro per qualche tempo anche in caso di una vittoria del “no” all’intesa coi creditori nel referendum del prossimo 5 luglio e dopo che Angela Merkel aveva ancora una volta ribadito che la Germania è pronta a fare di tutto perché la Grecia resti nell’euro (come peraltro auspicato anche da Pechino e da Mosca, prontamente sfilatesi da ogni ipotesi di concreto sostegno finanziario ad Atene), anche se la decisione ultima “spetta ai greci”, lo stesso cancelliere tedesco stasera ha raffreddato gli animi, segnalando che la Germania non potrà discutere alcuna nuova proposta di Atene prima che sia noto il risultato del referendum di domenica, quasi a dire che dopo le mille capriole negoziali di Tsipras non si fida più.

In tutto questo l’euro resta stabile contro dollaro a poco più di 1,11, mentre i rendimenti dei bond periferici europei sono nuovamente in calo dopo l’impennata di ieri, col Btp decennale guida che ha chiuso stasera con un rendimento pari al 2,32% lordo annuo dal 2,38% di ieri. Anche in questo caso il segnale dei mercati è univoco: il “rischio contagio” è modesto e se a breve la volatilità è destinata a farla da padrona (gli analisti del Credit Suisse hanno notato oggi come fino a venerdì i listini del vecchio continente scontassero implicitamente una probabilità del 20% che la Grecia finisse in default e uscisse dall’euro, ma in attesa del referendum tale percentuale potrebbe salire sino al 50%, causando “ceteris paribus”, un calo degli indici azionari del 7% rispetto ai livelli di venerdì sera), a medio termine l’unico tema che realmente preoccupa gli investitori è la possibilità che la crescita europea si rafforzi rispetto alle previsioni correnti di un aumento del Pil dell’eurozona di solo lo 0,5% medio nel corso dell’anno.

Così alla fine il problema torna al suo nocciolo: un debito (e un percorso di ristrutturazione dello stesso) è sostenibile nella misura in cui vi sia una crescita economica adeguata, altrimenti non è possibile sperare né che i mercati rifinanzino all’infinito debitori (pubblici o privati che siano) un debito i cui interessi si mangiano una quota crescente dell’Ebitda (se aziende private) o del Pil (se stati), né che i debitori riescano “virtuosamente” a varare le trasformazioni/riforme richieste dai creditori (dato che nel breve periodo le collegate misure economiche portano solitamente ad un taglio dei costi, ovvero della spesa pubblica, con effetti recessivi a livello macroeconomico e di possibile indebolimento delle prospettive di sviluppo del business a livello microeconomico). L’ho scritto sin dal 2013, pensando all’Italia più che alla Grecia, ma lo ripeto: parlare solo di rigore da parte dei creditori a questo punto non ha senso, dato che si rischierebbe di spompare definitivamente l’economia greca, così come ha poco o nessun senso da parte del debitore sperare di ottenere sconti sul debito “minacciando” i creditori, visto che le minacce finora si sono rivelate sostanzialmente un bluff (anche perché il Pil greco, pari nel 2014 a poco più di 179 miliardi di euro, rappresenta l’1,77% del Pil dell’Eurozona, lo scorso anno superiore a 10.067 miliardi).

La speranza è che il buon senso prevalga, il timore è che ormai ci si sia incamminati lungo una strada alquanto sconnessa che parte dalla incapacità politica di trasformare “l’Europa delle banche” in una “Europa dei cittadini” per arrivare ad una disintegrazione dell’Unione europea. Una disintegrazione che personalmente ritengo sarebbe alquanto pericolosa e foriera di un possibile ritorno a forme di nazionalismo che nei secoli scorsi sono costate al vecchio continente una lunga scia di guerre e che dunque sono da temere. D’altra parte una ridefinizione della Ue stessa (o quanto meno dell’Eurozona) e delle sue regole di funzionamento, euro compreso, è probabilmente necessaria ma realizzabile solo su un arco di tempo valutabile in anni, non certo in mesi e tanto meno in settimane o giorni. Per arrivare all’Europa dei cittadini si dovranno prima stabilire regole comuni alle quali tutti ci si voglia e ci si sappia realmente attenere, creare o ridefinire organismi federali, cedere sovranità nazionale agli stessi. In un continente che invecchia, che si sente assediato dai flussi migratori, che litiga sulla gestione delle poche cose che ha già messo in comune e a tratti sembra sognare il ritorno ai “bei tempi di una volta” (che non possono tornare), è una scommessa al tempo stesso esaltante e difficilissima. Che non è detto sia nelle “corde” né negli interessi più o meno legittimi dell’attuale classe politica europea e degli elettorati che questa rappresenta stato per stato.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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