Nuovo “tonfo” per le borse europee e Piazza Affari (in calo a fine giornata di oltre tre punti percentuali), che nel giorno dell’uccisione dell’ex “rais” libico Muammar Gheddafi restano concentrate sui problemi legati alla crisi di Grecia e temono lo slittamento del vertice di domenica dei capi di stato di Eurolandia a causa delle differenze che ancora esistono tra le posizioni di Francia e Germania circa la soluzione da adottare per chiudere la crisi del debito sovrano.
Tali divergenze riguardano in particolare la gestione del fondo “salva stati” Efsf, che Parigi vorrebbe potesse rivolgersi ai finanziamenti della Banca centrale europea (Bce) ce come se fosse una banca (scaricando così sulla Bce e solo indirettamente sui governi che ne sovvenzionano i bilanci una parte del peso del salvataggio delle banche europee), ovvero la possibilità, caldeggiata da Berlino, che l’Efsf utilizzi i propri fondi residui (270 miliardi di euro circa) per garantire un primo 20%-25% di perdite legate all’eventuale default di Atene che la Germania giudica di fatto inevitabile per quanto “pilotato” possa essere, e ancora, qualsiasi sia la soluzione scelta per l’intervento pubblico nella gestione della crisi, quale peso imporre ai bondholder privati, ossia in buona sostanza alle banche europee, che già hanno capito di doversi rassegnare a veder sfumare ben più del 21% dei capitali prestati ad Atene sottoscrivendone i titoli di stato, come concordato in luglio, ma vorrebbero non essere costrette a bruciare metà del valore dei titoli ancora in portafoglio come chiede la Germania (e come la Francia, le cui banche sono le più esposte in assoluto alla crisi, non intende accettare).
Con un’immagine alquanto calzante Alessandro Fugnoli, analista di Kairos Partners, ha paragonato la gestione della crisi ad una litigiosa assemblea di un ricco condominio chiamato a deliberare una spesa comune che tutti potrebbero sostenere ma ciascuno cerca di addossare per quanto possibile al vicino di casa, tutti potendosi permettere di tirarla per le lunghe e nel caso mettere in mezzo anche gli avvocati, non essendo per nessuno realmente urgente chiudere la discussione perché la crisi europea, lo si è capito da un pezzo, non è una crisi di liquidità (ossia i soldi non mancano, vista anche il credito sostanzialmente illimitato concesso dalla stessa Bce alle banche del vecchio continente) ma di fiducia (tanto che le stesse banche europee che chiedono soldi alla Bce poi lasciano gli stessi in deposito presso l’istituto centrale anziché investirli o prestarseli tra loro).
Fiducia che si deve riconquistare a colpi di riforma sia della spesa pubblica, sia della trasparenza dei conti, sia della crescita (o ri-crescita nel caso, come l’Italia, la crescita stessa sia sparita di fatto dai radar dell’economia nazionale da oltre un quindicennio). In caso contrario i mercati tendono a chiedere un premio per il rischio sempre maggiore e infatti stasera il sovra rendimento (“spread”) tra Btp italiani e Bund tedeschi sui 10 anni schizza a 406 punti base (ossia il Btp italiano rende il 4,06% lordo annuo più del titolo tedesco, risalendo sul 6% annuo lordo per la prima volta dallo scorso 5 agosto) e il Cds Italia (il rischio di assicurarsi contro l’ipotesi di un’insolvenza dell’emittente, in questo caso il Tesoro italiano), pari ormai a 457 punti base (dai 440 di ieri e mentre la stessa Francia vede aumentare il proprio Cds di 6 basis point a 190 punti base, contro i 92 punti base della Germania, 3 più di ieri).
Cifre e soluzioni contrapposte da far venire il mal di testa penserà qualcuno, allora veniamo al sodo: cosa comporta una crisi del credito? Che le banche, come spiegavo ieri, potrebbero essere tentate dal ridurre la propria attività vuoi cedendo i business considerati più “rischiosi” vuoi riducendo i prestiti a imprese e famiglie. Ma siccome in finanza poco o nulla è come sembra a prima vista, la notizia vera sarebbe quella di un drastico calo delle richieste sia di prestiti (-10% a settembre, -3% da inizio anno) sia di mutui (-23% a settembre, -10% da inizio 2011) da parte di famiglie e imprese italiane. Che così avrebbero in qualche modo persino anticipato la possibile nuova “stretta” che seguirebbe ad un anno e mezzo di parziale recupero dei livelli di attività creditizia dopo il netto calo già seguito alla crisi finanziaria del 2008-2009.
Secondo gli analisti del Crif, autori dei report sopra ricordati, questo andamento andrebbe collegato al nuovo drastico peggioramento delle aspettative di famiglie e imprese italiane, che in sostanza visti gli attuali chiari di luna e i continui provvedimenti di “austerity” di cui si rumoreggia da mesi e temendo di non riuscire a rimborsare i prestiti ricevuti, rinviano acquisti e investimenti a tempi migliori e con essi la richiesta di finanziamenti a medio-lungo termine, nonostante i tassi restino a livelli assolutamente modesti. Un atteggiamento prudente che non è certo un male in assoluto (anzi), ma che in questo caso finisce con l'allontanare la crescita futura e contribuisce mantenere il sistema economico italiano in una situazione che gli economisti chiamano “trappola della liquidità” e che popolarmente si raffigura col detto: “potete portare un cavallo all’acqua, ma non potete obbligarlo a bere”. Decisamente non sono i soldi il principale problema che assilla gli italiani e gli europei tutti di questi tempi, speriamo che qualcuno riesca a capirlo quanto prima.