Dite la verità: quest’anno un pensierino per farvi le vacanze a Londra, magari in occasioni dei prossimi Giochi Olimpici, l’avevate fatto. O forse avreste voluto concedervi finalmente la crociera nei “fiordi del Nord” che tutti noi sogniamo in piena estate quando la temperatura e l’umidità ci fanno rimpiangere l’inverno. O perché no un bel giro in Cappadocia, o in Russia, magari a San Pietroburgo, o persino per chi può permetterselo una settimana o due in Giappone o negli Stati Uniti.
Di questo passo questi sogni rischiano di rimanere tali per la maggior parte di noi, non fosse altro che dopo l’ultimo taglio dei tassi da parte della Banca centrale europea (ma in parallelo anche il taglio delle stime di crescita da parte del Fondo monetario internazionale) e la minaccia della Finlandia di uscire dall'Eurozona prima che doversi sobbarcare parte dei debiti dei "periferici" del Sud Europa, l’euro ha perso rapidamente quota contro le principali valute, tanto da oscillare stasera a 1,2274 contro dollaro Usa, ovvero a 97,72 yen, mentre contro franco svizzero il tasso di cambio resta come sempre congelato poco sopra la soglia di 1,20 e nei confronti della sterlina britannica la valuta unica chiude a 0,7935.
L’euro aveva chiuso un 2011 già non privo di problemi e tensioni a 1,2939 contro dollaro (e a 100,2 contro yen, ovvero a 1,2183 contro franco svizzero e 0,8353 contro sterlina), ossia circa il 5% sopra i livelli attuali, ma era anche riuscito a risalire, tra fine febbraio e inizio marzo, a 1,3454 contro dollaro (e a 111,11 contro yen, a 0,8481 contro sterlina e a 1,2114 contro franco svizzero), livelli tra l’8% e il 9% più elevati degli attuali. Come dire una volatilità attorno al 15% di oscillazioni nell’arco di un solo semestre.
Il 15% può sembrare una percentuale modesta, ma mettetevi nei panni di chi commercia con l’estero sia come esportatore (e quindi guadagna vendendo in euro e incassando in valute “forti”) sia come importatore (e invece deve cercare di proteggersi dal rischio cambio per evitare di subire effetti negativi legati alla debolezza della valuta unica nel momento in cui va a pagare le merci in altre valute). Per riuscire a recuperare un eventuale minusvalenza del 15% occorre, per fare un paragone, acquistare e detenere sino a scadenza un Btp come il settembre 2016 che attualmente rende attorno al 4% netto all’anno.
O, se preferite, il 15% in meno è quanto rischiano di vedersi offrire tutti coloro che hanno affittato degli immobili alla pubblica amministrazione, visto che nel decreto con cui è stata varata nella notte la “Spending Review” che fa slittare (ma non sopprime, attenzione) a luglio 2013 l’incremento dell’Iva dal 21% al 23% previsto finora per ottobre, dà una sforbiciata alle Provincie e prevede risparmi crescenti per lo stato (4,5 miliardi quest’anno, 10,5 miliardi nel 2013, 11 miliardi nel 2014) è stata inserita tra le altre una norma che parla di blocco per il triennio 2012-2014 dei rincari dei canoni finora parametrati all’indice Istat e una rinegoziazione delle locazioni passive di immobili a uso uffici di proprietà di terzi proprio con l’obiettivo di giungere alla riduzione del 15% dei canoni stessi.
Insomma: l’estate 2012 rischia di essere ricordata come già quella del 2011 sia per la volatilità degli indici di borsa e dei mercati azionari sia per quella dei cambi. Col rischio ulteriore che chi si lamenta ora di non poter fare le vacanze sperate a causa di un improvviso e repentino aumento dei costi (sia legati alla permanenza in un paese extra Ue sia alle spese di trasporto, visto che i costi dei carburanti sono solitamente legati a quotazioni espresse in dollari) potrebbe trovarsi pentito in autunno se anche sarà riuscito a farcela, perché si prospetta una ulteriore frenata dell’economia che rende ancora più incerto il quadro del mercato del lavoro e purtroppo le entrate fiscali.
Per un paese come l’Italia che a fine 2011 aveva un debito/Pil pari a 1,2 volte, cercare come sta facendo diligentemente Mario Monti di risolvere la crisi tagliando le spese e incrementando le tasse non può bastare, anche agendo con la massima attenzione e colpendo sprechi e privilegi ormai privi di senso (cosa comunque positiva ma che andrebbe fatta in altra fase economica e su tempi probabilmente più lunghi). Si rischia infatti di far precipitare ancora più velocemente il denominatore del rapporto, ossia il Pil, col risultato che l’unica soluzione a breve potrebbe essere non solo puntare sulle esportazioni, ma tornando a emigrare all’estero se in Italia non ci dovessero essere più prospettive professionali valide.
Sempre sperando, tanto che ad andare all’estero siano prodotti e servizi italiani piuttosto che singoli individui, che la crisi del Sud Europa non finisca col contagiare altre aree economiche mondiali. Qualche segnale purtroppo lo si nota già, con una frenata della crescita cinese, un ulteriore raffreddamento della ripresa in Giappone e una ripresa che resta asfittica negli Usa, tanto che la disoccupazione nonostante tutti gli sforzi fatti non cala oltre l’8,2%. Nonostante negli Usa come in Cina o Giappone (ma anche in Svezia, Danimarca o Svizzera) non si usi l’euro, che non può dunque essere incolpato da nessuno di essere causa di tutti i mali di questo mondo, né può far sognare qualche politico e “commentatore” economico un ritorno al passato. Un sogno, per inciso, dal quale il risveglio sarebbe ancora più doloroso di quello che ci aspetta dopo l’estate in Italia, ma questa è un’altra storia.